"A Monfalcone si può". Genitori pakistani impongono il niqab alla figlia anche a scuola

La denuncia di un avvocato al quale si sono rivolti per chiedere di fare da intermediario: "Se vogliono che la figlia vada a scuola dentro un sacco del pattume possono tornare da dove sono venuti"

Niqab, foto di repertorio
Niqab, foto di repertorio
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Com'era prevedibile, il caso delle ragazzine di Monfalcone che hanno avuto l'autorizzazione a entrare a scuola con il velo integrale (niqab) ha creato un pericoloso precedente. A raccontarlo è l'avvocato Elisa Fangareggi, parte della fondazione Time 4 life che offre consulenze legali gratuite a famiglie di origine straniera. E così, una famiglia islamica residente a Modena ha chiamato l'associazione chiedendo assistenza per fare in modo che la propria figlia, che a settembre entrerà in prima media, potesse indossare il niqab.

"Ci chiedono se possiamo fare da intermediari tra loro e le istituzioni per far si che la loro figlia a partire da settembre, mese in cui dovrebbe iniziare la prima media, possa andare a scuola con il velo integrale, dal momento che ha già il ciclo mestruale e che in alcune città è già in uso la pratica di far riconoscere le ragazzine alle bidelle in uno stanzino ogni giorno prima dell’inizio delle lezioni", ha spiegato l'avvocato con un lungo post su Facebook. La richiesta che viene fatta richiama proprio il caso di Monfalcone, dove la preside ha difeso la propria scelta, forse ignorando quel che avrebbe scatenato in altre famiglie islamiche, che avrebbero avanzato pretese di questo tipo anche in altre città e scuole come, effettivamente, sta accadendo. "Ho fatto un respiro profondo per cercare di controllarmi, ma poi non ci sono riuscita e mi è scappato che se vogliono che la figlia vada a scuola dentro un sacco del pattume possono tornare da dove sono venuti", ha scritto l'avvocato.

Una reazione forse non professionale ma umanamente comprensibile la sua a fronte di una richiesta come questa, che viola i diritti basilari umani della giovane. "Non riesco a pensare che nel mio Paese possa essere legittimo obbligare una bambina ad andare a scuola totalmente coperta", ha aggiunto l'avvocato, chiedendosi se sia legittimo che un genitore, "in nome della religione, impedisca a una figlia di esprimersi, di interagire e di comunicare, oltretutto in un luogo come la scuola dove piu che mai questi aspretti dovrebbero essere incentivati e valorizzati?". E viene spontaneo chiedersi quante bambine siano in questa situazione, quante vengono obbligate dai genitori a indossare il niqab, nell'assoluto silenzio delle femministe, secondo le quali in Occidente non possiamo permetterci di interferire perché non capiamo quella cultura. "Dove sono i servizi sociali? Quelli tanto solerti a strappare i bambini alle famiglie per un disegno male interpretato, o per una merendina scaduta nello zaino? Dove siete? Non è questa forse una bambina che meriterebbe di vivere con due genitori capaci di rispettarla? Inutile dire che mi sono presa della razzista", è la chiusura amara del pensiero dell'avvocato.

Successivamente intervistata dal Resto del Carlino, l'avvocato ha riferito che i genitori le hanno detto che "non era necessario che la figlia comunicasse: hanno sottolineato che andava a scuola solo perchè la scuola è

obbligatoria". E quando l'avvocato ha fatto sapere loro di non essere disposta a fare loro da portavoce, i genitori le hanno detto che "a Monfalcone sono in tre e dobbiamo essere di più".

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