"La tenda per il campeggio". La protesta dei pro Palestina diventa una "gita"

La protesta che diventa campeggio: gli studenti per la Palestina e i centri sociali rivelano quale sia il vero senso delle tende nelle università

"La tenda per il campeggio". La protesta dei pro Palestina diventa una "gita"
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Askatasuna, dopo l'assalto al Salone del Libro e il relativo endorsement di alcuni scrittori presenti in loco, tra cui Cristian Raimo e Zerocalcare, lo aveva promesso: "Da lunedì occupiamo tutte le università". Ma nessuno avrebbe mai pensato che il centro sociale più violento d'Italia volesse trasformarsi nella succursale dei boy-scout di Torino. O, se vogliamo, nelle moderne Sardine, ormai inscatolate, di Mattia Santori. "Porta la tua tenda e il materiale che ti serve per il campeggio", scrivono orgogliosi sul manifesto di occupazione dell'università di Torino per quella che definiscono "intifada degli studenti".

Askatasuna si trasforma in un'agenzia di viaggi per giovani ribelli e ora, in mancanza di altri temi interessanti su cui buttarsi per creare un po' di caos, diventa anche tour operator proletario. Perché campeggio sì ma, ovviamente, con relativa occupazione di suolo pubblico senza autorizzazione, per non snaturare ciò che il centro sociale fa da quasi tre decenni, ossia appropriarsi del bene comune per il proprio interesse. Il "campeggio" ha anche un gruppo Telegram e scartabellando le loro indicazioni, fornite in una comoda brochure "scomposta", si scopre che le piazzole per le tende dell'innovativo "camping" proletario si trovano perfino a "Fisica Beach", ossia lo spazio esterno dell'edificio che ospita la facoltà di Fisica di UniTo.

Ma i campeggiatori, attirati dagli organizzatori, non si aspettino di trovarsi il mare nella ridente Torino. Perché ancora dal centro sociale non sono riusciti a espropriarlo dalla Liguria e portarlo all'ombra della Mole, come hanno fatto con l'edificio di viale Regina Margherita 47. Un tempo andavano di moda i campeggi di Rimini, Riccione e della Riviera Romagnola, oggi quelli delle università. Che a ben guardare convengono pure, perché nemmeno si paga per piazzare la tenda. Quel che però stona in tutto questo è il modo in cui i collettivi, che nel capoluogo sabaudo si rifanno tutti ad Askatasuna, direttamente o indirettamente, riescano a banalizzare la protesta. Il "campeggio" nelle università come strumento, l'ennesimo, per far baccano e creare disturbo, con tanto di "chitarrella" per passare la serata. E l'interesse "elevato" passa in secondo piano.

Ma l'importante è avere sempre la kefiah con sé, sennò il rischio di essere confusi con i villeggianti di passaggio in Italia. Però poi non devono stupirsi se la polizia si presenta nel loro "camping", perché non è "provocazione", come hanno scritto i colleghi del "campeggio" di Bologna, che si sono stupiti per la presenza degli agenti.

Perché quando si occupa abusivamente un'area pubblica si commette un reato e il compito della polizia sarebbe quello di identificare i campeggiatori, pardon, manifestanti, e poi rendere il suolo alla collettività: non è provocazione ma obbligo verso i cittadini. O, se vogliamo, democrazia.

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