E anche i pro Palestina scrivono la loro pagina nella kermesse torinese

I manifestanti hanno urlato: «Dentro è pieno di sionisti» Tensione e polizia. Poi entra la «loro» bandiera...

E anche i pro Palestina scrivono la loro pagina nella kermesse torinese
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nostro inviato a Torino

Stava andando tutto troppo bene. Il tempo bello, i tantissimi visitatori, le lunghe code di fan e di lettori in attesa di partecipare alle presentazioni dei big, la sfilata degli autori antigoverno contro la censura e la repressione del dissenso - da Corrado Augias a Zerocalcare, da Lilli Gruber a Erri De Luca, da Luciano Canfora a Roberto Saviano, ieri erano tutti qui - fino a che il dissenso se lo sono ritrovato in casa. Ed ecco che al Lingotto va in scena la protesta di un pezzo di quella sinistra antisistema, radicale e ultra filo-palestinese cui la sinistra di salotto, di Salone e di talk show liscia il pelo un editoriale sì e un altro pure.

Da giorni, qui a Torino, si temevano contestazioni contro gli scrittori israeliani in qualcuno degli incontri programmati dentro il Salone: ieri era attesissimo Eshkol Nevo; e invece le contestazioni sono arrivate da fuori. Nel pomeriggio un gruppo di attivisti pro Palestina, chiamati a raccolta via social dal gruppo antagonista «Torino per Gaza», si è dato appuntamento fuori dalla stazione della metropolitana Lingotto, ha bloccato il traffico di via Nizza davanti all'entrata del Salone del Libro e poi ha sfilato nel piazzale d'ingresso con bandiere palestinesi, striscioni e slogan («Free Palestine», «Fuori i sionisti dal Salone», «Israele assassino di bambini»), fermandosi di fronte ai cancelli appena la Questura ha schierato un piccolo contingente di poliziotti antisommossa. I manifestanti, circa duecento persone fra militanti del centro sociale Askatasuna, i membri della comunità palestinese di Torino, studenti giovanissimi (ragazzine con capelli colorati e cartelli «Queers for Palestine» e altre con il velo e vestite di nero, in un cortocircuito ideologico tanto curioso quanto spiazzante), hanno accusato la direzione del Salone di falsità, di non voler ascoltare la voce del popolo di Gaza e di schierare la polizia per impedire di fare entrare la bandiera della Palestina: «Mentre dentro è pieno di sionisti».

«Tutto quello che vogliamo è portare i colori della Palestina in un evento culturale. È inaccettabile che si continui a censurare la nostra voce quando la Storia ci chiede di assumerci una responsabilità», hanno urlato al megafono, chiedendo di dedicare il Salone a Refaat Alareer (1979-2023), poeta, scrittore e professore universitario di Letteratura comparata alla Islamic University di Gaza e ucciso in un attacco aereo israeliano il 6 dicembre 2023.

A quel punto la testa del corteo ha cercato di abbattere a calci le transenne dell'entrata principale e la polizia ha dovuto usare gli scudi e i manganelli. La situazione è rimasta incerta a lungo, lo slogan «Free Palestine» è risuonato incessante, qualcuno ha gridato «Il Salone è una merda sionista», fino a che il presidente del Salone, Silvio Viale, ha ammesso una delegazione di cinque persone all'interno per esprimere le loro posizioni. E lì uno dei leader della protesta, il presidente della moschea Taiba, Brahim Baya, ha chiesto una presa di posizione della direttrice del Salone Annalena Benini, affermando che «non può rimanere in silenzio di fronte al genocidio palestinese». Ma a prendere posizione a favore dei manifestanti sono stati gli intellettuali del dissenso. Il fumettista Zerocalcare, assieme allo scrittore Christian Raimo, è uscito dai Padiglioni per incontrare i capi dei manifestanti, ha accolto le loro ragioni e li ha abbracciati. «È successo quello che è accaduto tante volte in questi giorni: le persone che cercano di portare attenzione su ciò che accade a Gaza vengono assalite con i manganelli», ha detto. Poi, portata simbolicamente dentro il Salone una bandiera palestinese per testimoniare i massacri di quella terra, la situazione - gestita benissimo dalla polizia, va detto - si è risolta.

Quella che resta irrisolta è la situazione di continua tensione che si respira dentro e fuori il Salone. Come se da un momento all'altro dovesse scoppiare una contestazione o qualcuno levasse un'accusa di censura. Mai c'è stata così tanta libertà di parola e mai se ne lamenta così tanto la mancanza. Nelle fiere del libro, nelle Università, in televisione, nelle piazze.

Per il resto, dentro il Salone, la giornata è filata

via fra gli stand con lo stesso caldo, la stessa confusione e lo stesso successo di sempre. Di pubblico, di presentazioni, di acquisti. Per cinque giorni sembra che il Paese non faccia altro che leggere. E noi di scriverne.

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