LA NEGAZIONE DELLA REALTÀ

Alla manipolazione della realtà ci eravamo ormai abituati: dalla Primavera di Praga alla proroga del decreto sull’emergenza immigrazione, il modo in cui la stampa di sinistra cuce i fatti addosso alle proprie esigenze è ben noto, anche se non proprio innocuo. Ora, però, sta sorgendo una nuova figura, che sposta i confini un po’ più in là: il negatore della realtà tout court. Il fatto non è più «semplicemente» piegato a sostenere una tesi oppure celato con maggiore o minore abilità. No, viene abolito. Letteralmente, non esiste.
Un esempio. Mercoledì, La Repubblica annuncia in prima pagina lo scandalo di un adolescente sottratto alla madre e affidato al padre perché la donna gli aveva consentito di iscriversi a Rifondazione comunista. Notizia-bomba, se fosse vera. Peccato che il giudice che ha emesso la sentenza smentisca subito nel modo più netto possibile: «Nel mio provvedimento non esistono riferimenti diretti o indiretti all’appartenenza del ragazzo ad alcun partito o circolo. Non ho mai citato il Prc. Non capisco come si possa montare un caso simile». Si apprende anche che l’ordinanza fa invece riferimento alla vita sregolata del sedicenne, al fatto che a scuola si fa vedere pochino, alla sua «frequentazione di luoghi dove è diffuso l’uso di sostanze alcoliche e psicotrope». In poche parole, si parla di «carenze genitoriali della madre», alla quale viene infatti sottratto anche l’altro figlio, undicenne.
Bene, pensiamo qui in redazione, non c’è notizia. Domani leggeremo un trafiletto di rettifica sulla Repubblica. Ingenui: il giorno dopo, ieri, in edicola è un coro. Il Manifesto, Liberazione, l’Unità e il Riformista si uniscono alla Repubblica: «È comunista, lo tolgono alla madre». Negli articoli, peggio. «Una sentenza che atterrisce», «Fascismo? Ottusità? Servilismo verso il nuovo potere politico?», «Il grottesco è diventato realtà». E via così. La smentita, il testo della sentenza che non nomina Prc neanche di sfuggita? Bah. In qualche pezzo si registra, en passant, che sì, pare che il giudice abbia detto che non è andata proprio così. Ma come un inciso senza importanza, per poi riprendere a pontificare come nulla fosse. Altri decidono di togliersi anche la foglia di fico: la smentita è cancellata, che problema c’è?
Sbalorditivo, soprattutto se si pensa che stiamo parlando di quotidiani normalmente piuttosto «sensibili», diciamo così, alle voci dei tribunali. A quanto pare, però, le sentenze non si discutono solo quando danno fastidio agli altri. E l’attendibilità del magistrato è a geometria variabile: se quanto dice non fa comodo, si viene colti da sordità. «Hai sentito qualcosa?». «Io? Macché. Sbrigati che dobbiamo scrivere».
Del resto, se l’esempio viene dall’alto, dai Maestri... Prendete Furio Colombo. Sì, l’ex dipendente di Agnelli diventato ex direttore dell’Unità. Siccome gli è andato di traverso che Newsweek, per una volta in 15 anni, abbia elogiato Berlusconi, non ha trovato di meglio che scrivere che non era vero. O, almeno, che chi aveva redatto l’articolo non esisteva: «L’unico con quel nome è un medico bolognese vissuto nel 1500», ha annunciato sicuro e trionfante, lasciando intendere ai pochi lettori che gli sono rimasti che uno dei due maggiori settimanali politici americani si era reso complice di un falso clamoroso. Il Giornale ha rintracciato Jacopo Barigazzi, autore del pezzo oggetto dei fulmini di Colombo e presunto pluricentenario, il quale ha confermato la propria esistenza in vita, pur denunciando qualche anno in meno: 38.
Caso chiuso? Nemmeno per sogno. Ieri Colombo ha rispolverato la furiosa stilografica. Titolo dell’editoriale sull’Unità: «Il caso del corrispondente fantasma». Svolgimento (tenetevi forte): «Questa impresa (l’articolo di Newsweek, ndr) è falsa o perché è falso l’autore, che in rete risulta un medico bolognese del Sedicesimo secolo, o perché è falso il testo... Il merito di questo giornale è di avere, unico e solo, puntato il dito verso lo strano evento... puntato il dito sul fantasma redivivo di Jacopo Barigazzi... Per l’Unità un successo di cui vantarsi». E qui uno capisce tante cose.
Poi Colombo afferma che l’unica prova che il Giornale ha prodotto che Barigazzi sia una persona in carne e ossa è «una prova di esistenza “per telefono”». È vero, gli abbiamo telefonato. Ma che voleva l’illustre editorialista: il test del Dna? Le impronte digitali? Ci sembrava contrario, però forse vale solo per i rom. Per i giornalisti che non scrivono quello che vuole lui, impronte obbligatorie. E magari va bene anche l’espulsione.


Ma il vero capolavoro è alla fine, quando Colombo sostiene: per scrivere quel pezzo elogiativo su Berlusconi Newsweek è dovuto ricorrere a «una persona quasi inesistente». È fantastico: siamo al «quasi gol di Carosio», alla poesia pura. La realtà? Ma andiamo...
Massimo de’ Manzoni

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