Mi sono immerso nell’orrore di Rignano Flaminio. Sì, in quella storiaccia di presunti abusi sessuali su decine di bambini fra i tre e i quattro anni. Dopo che il Tribunale del Riesame ha deciso di scarcerare le sei persone arrestate – tre maestre, una bidella, un autore tv e un benzinaio – ho deciso di capirne di più e mi sono messo a leggere centinaia di pagine di verbali. L’ordinanza di custodia cautelare, le richieste del pm, gli interrogatori, l’istanza dei difensori ai giudici del Riesame. Vi chiedete perché mi sia venuto in mente di occuparmi di una brutta vicenda di presunti abusi sui minori, mentre il Paese ha ben altre storie di cui discutere, non ultimi i danni del governo Prodi? Non so rispondervi. Sarà perché ogni tanto mi torna fuori l’anima del cronista. Sarà che ho delle figlie piccole. Sarà che in trent’anni di mestiere ho visto tanti errori giudiziari...
Sta di fatto che ho letto, mi sono documentato, e a ogni pagina che ho sfogliato sono sprofondato sempre più nell’abisso. Sodomizzazioni, violenze con vibratori, iniezioni di farmaci anti ansia in faccia e nelle parti intime, riti satanici, cuccioli di cane gettati nel fuoco, sangue bevuto. Il raccapriccio è cresciuto man mano che scorrevo le deposizioni. Possibile, mi sono chiesto? Possibile che in una scuola materna di paese, per mesi, forse per anni, una banda di pedofili abbia agito indisturbata, prelevando dei bambini e portandoseli a casa? Possibile che nessuno abbia visto il losco traffico? Come mai né un genitore né un medico si è accorto delle violenze sui piccoli corpi? Come può un bambino di tre anni essere sodomizzato da un adulto senza che chi gli è vicino si renda conto dell’avvenuta violenza? A leggere gli atti dei magistrati la risposta a tutte queste domande non c’è.
L’unica ad aver capito che c’era qualcosa che non funzionava è stata la mamma di una bambina. È lei che si è allarmata. È lei che ha interrogato la sua piccola e l’ha indotta a parlare. È lei che si è rivolta ad altri genitori, avvisandoli. Così una sera si sono ritrovati tutti in una casa, cercando di strappare ai propri figlioletti la verità. Li hanno interrogati. Il giorno dopo, assolutamente certi delle violenze, sono andati uno dietro l’altro a presentare le denunce. Poi sono venuti altri genitori e quelli che non erano convinti sono stati sollecitati a interrogare meglio il proprio bimbo. Infine sono arrivati i video casalinghi, altre domande, altre pressioni perché i figli dicessero la verità. «Non essere bugiarda, se no la fatina si arrabbia. Racconta la verità». E la «verità» è stata vomitata a fiumi, identificando di volta in volta vari colpevoli.
Pezzi di quella verità sono stati usati dai magistrati per disporre l’arresto di sei persone. Pazienza se nessuna di quelle testimonianze sia stata registrata da un esperto e i bimbi siano stati sentiti «solo» da una psicologa. Non importa se i racconti dei bambini, riferiti dai genitori, non concordino neppure sulla descrizione di Patrizia, la protagonista delle violenze. Fa nulla se, all’insistenza delle domande della mamma su cosa uscisse dal «pipo» (il pene), una bimba abbia detto «bollicine» e, di fronte all’insoddisfazione della madre per la risposta, abbia replicato «coca cola», e infine, sollecitata ancora, «coca cola, ma rossa».
Leggere l’elenco di elementi che non tornano, compilato da uno degli avvocati difensori, fa venire semplicemente i brividi. L’angoscia, la paura e lo schifo crescono. Perché se uno solo di quei bambini ha subito violenza, con questi metodi si è buttata nell’immondizia l’indagine.
Ma se nessuno è stato molestato, con queste domande, con questa insistenza morbosa, con un’inchiesta che li ha sconvolti, si è riusciti solo a turbare la loro serenità. Oltre, naturalmente, ad aver messo in galera degli innocenti. A questo la giustizia italiana è abituata. Gli innocenti, piccoli e grandi, un po’ meno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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