"Niente benevolenze pregiudiziali". E in via Solferino rinasce il terzismo

Il vicedirettore Battista: "Non ci sono disegni sotterranei, quando c’è da criticare si critica. Il Corriere continua come sempre a fare il cane da guardia della politica italiana"

"Niente benevolenze pregiudiziali". E in via Solferino rinasce il terzismo

da Milano
«Il Corriere continua come sempre a fare il cane da guardia della politica italiana». Pierluigi Battista, vicedirettore del Corriere della Sera, smentisce l’esistenza di un imbarazzo para-politico o para-chissà cos’altro in via Solferino, dopo la sonora strigliata contro il governo lanciata dalla più che visibile ribalta caprese dei Confindustria boys dal direttore del quotidiano, Paolo Mieli. Ovvero lo stesso direttore che un anno e mezzo prima, alla vigilia delle elezioni politiche, aveva schierato la corazzata di carta, in modo inequivocabile, con un editoriale, dalla parte del centrosinistra. Un endorsement, dissero quelli che se la tirano. Una robb de matt, invece, per i milanesi (e gli italiani) più moderati.
«All’epoca - storicizza Battista - vivevamo la profonda delusione del quinquennio berlusconiano appena conclusosi, che non aveva regalato al Paese quella stagione di riforme liberali che molti si aspettavano. Tolta la legge Biagi e la riforma delle pensioni, restava ben poco. Così, a fronte di quell’esperienza fallimentare, lo schieramento di centrosinistra si presentava al momento quello con più titoli per governare. Poi - prosegue - arrivò quel risultato elettorale così sorprendente, con appena 24mila voti di scarto, lasciando l’Italia senza un vincitore vero e senza nemmeno un autentico sconfitto».
Di lì la paralisi prodiana stigmatizzata ieri da Mieli a Capri. Rivendica insomma Battista il ruolo del Corriere come osservatore. La presa di posizione di allora, a favore dello schieramento ulivista, non avrebbe collocato insomma il giornale in una certa direzione, «tant’è vero che contestualmente fu lasciata come sempre mano libera a commentatori ed editorialisti». Così il j’accuse (o il mea culpa?) di ieri a Capri sarebbe la conferma del ruolo «distaccato» di via Solferino. «Non ci sono benevolenze pregiudiziali né disegni sotterranei e se c’è motivo per criticare si critica - spiega Battista -. È ciò che ha fatto ieri Mieli, dicendo che il governo non sembra cogliere i sentimenti prevalenti del Paese. Sentimenti, ai quali non si risponde con furbate o traccheggiando. Si proceda almeno alla riduzione dei ministeri, anche se è difficile disciplinare appetiti piuttosto robusti».
Altro non si cava, da via Solferino e dintorni, segno che forse un po’ di imbarazzo c’è. Angelo Panebianco, editorialista di punta, declina l’invito a dir la sua. «Non commento una dichiarazione del mio direttore - sbotta - Lei commenterebbe una del suo?». Il che non fa un plissé. Così come è comprensibile la quasi pudica discrezione di Raffaele Fiengo, storica figura del Corriere.

«Non presi posizione all’epoca e non la prendo ora - si schermisce - anche se ritenni e ritengo quello schierarsi un errore nella forma. Perché pur se le mie posizioni personali sono sempre state a sinistra, ho sempre avuto troppo a cuore l’indipendenza».

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