No, la cabina di regia per favore no

La Cabina di Regia no, per piacere. La Cabina di Regia questa volta risparmiatecela: abbiamo già dato. Abbiamo visto tutto il film (un mattone peggio della «Corazzata Potemkin») e lo abbiamo visto più di una volta: sappiamo come va a finire. Male. Quindi metteteci una pietra sopra, fate finta di aver scherzato e parliamo d’altro.
No, perché è da qualche tempo che, con cadenza quotidiana, la magica formuletta scappa di bocca ad autorevoli esponenti del centrodestra. Ne è rimasto sedotto il vicepresidente dei senatori Pdl, Gaetano Quagliariello, che ne ha fatto il tema centrale di una sua intervista al Riformista: «Serve una cabina di regia, una camera di compensazione tra governo e maggioranza». Era giovedì scorso. Il giorno dopo gli ha fatto eco, sempre sul giornale diretto da Antonio Polito, il coordinatore di An (nonché ministro della Difesa) Ignazio La Russa: «Condivido in pieno». Ieri, dalle stesse colonne, il capogruppo Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, si è spinto oltre, ipotizzando la composizione della cabina di regia: «I capigruppo, i vicecapigruppo, il ministro Elio Vito e Gianni Letta». Un cabinone, insomma. E immaginiamo che almeno due dei designati, Maurizio Gasparri e Italo Bocchino, siano pronti a dire la loro sulla faccenda: il Riformista li starà contattando.
Il fatto è che non ci si ricorda una volta in cui la cabina di regia abbia risolto qualche problema. In compenso ce ne vengono in mente parecchie in cui la cabina in questione è stata il problema. A cominciare da quella «storica» chiesta a gran voce nel 2003 da Gianfranco Fini. Pretesa che fu anche atto costitutivo del sub-governo An-Udc che finì per legare mani e piedi al secondo governo Berlusconi. Di quella cabina si rammentano lo scontro Buttiglione-Giovanardi per entrarvi, le dimissioni da ministro dell’Economia di Giulio Tremonti (il vero bersaglio dell’operazione) e, in ultima analisi, la sconfitta alle elezioni del 2006, alle quali la Casa delle libertà si presentò fiaccata dalle liti interne e col brutto biglietto da visita di un governo che, nei due anni precedenti, aveva visto la propria azione riformatrice pressoché paralizzata dai veti incrociati.
Né andò meglio a Romano Prodi. La cabina di regia sul programma dell’Unione varata nel maggio 2005 portò a quel bel risultato del librone dei sogni ulivista, che conteneva tutto e il contrario di tutto e infatti fu brandito con regolarità dagli «alleati» di governo (da Di Pietro a Rifondazione) per darselo reciprocamente sul muso. Il risultato lo conosciamo benissimo. Con la ciliegina sulla torta di un’ulteriore cabina di regia, creata in articulo mortis nel leggendario conclave della Reggia di Caserta per, tenetevi forte, le liberalizzazioni. E come no.
Ma negli anni abbiamo contemplato anche altri clamorosi successi.

Due per tutti: la cabina di regia per la riforma del catasto (appunto) e quella per l’utilizzo dei fondi erogati dall’Unione europea, metà dei quali, infatti, restano regolarmente inutilizzati.
Perciò, per favore, trovatevi a pranzo, sentitevi al telefono, scrivetevi delle mail. Ma non aprite quella Cabina.

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