Non bisogna aver paura del proporzionale di Walter

Sin dall’inizio della sua candidatura alla guida del Partito democratico abbiamo fortemente criticato Walter Veltroni per la sua idea di un partito di stampo leaderistico, senza iscritti e con una insopportabile deriva plebiscitaria.
Detto questo, però, non possiamo che applaudire alla proposta di riforma elettorale avanzata da Veltroni e basata su quattro criteri di fondo: sistema proporzionale, abolizione del premio di maggioranza, nessuna alleanza politica fuori dal Parlamento, rimettere nelle mani dell’elettore la scelta di deputati e senatori.
I nostri lettori sanno che da tredici anni, e cioè da quando è nato, abbiamo criticato i guasti di un sistema maggioritario che non poteva funzionare in un Paese con più opzioni politiche come l’Italia e come nella maggior parte dei Paesi europei. E fin dall’inizio abbiamo previsto ciò che puntualmente è accaduto. Aumento della frantumazione politica, maggioranze di governo che non hanno mai raggiunto il 51 per cento dei consensi, esplosione dei partiti proprietari e sostituzione della selezione darwiniana della classe dirigente che il voto di preferenza garantiva con la cooptazione e la designazione «regale» di deputati e senatori. La proposta di Veltroni è la presa d’atto delle macerie politiche che il sistema maggioritario ha creato nel Paese ed è, nei fatti, una svolta copernicana. Una svolta che può ridare fiato al sistema dei partiti, afflitti da quell’intollerabile personalismo che, in verità, lo stesso Veltroni tenta di perseguire.
Ma spesso c’è l’eterogenesi dei fini. Naturalmente il diavolo tentatore è sempre in agguato. Nella proposta di Veltroni, ad esempio, c’è una considerazione che subito ci balza agli occhi, ed è la scelta dei cosiddetti collegi uninominali nei quali ciascun partito candiderebbe i propri esponenti. Questo meccanismo sembra rimettere nelle mani degli elettori la scelta dei deputati e dei senatori.
Ma non è così. Gli elettori possono davvero decidere i propri rappresentanti se i partiti offrono in una lista più candidati e ciascuno in cabina elettorale sceglie chi vuole, scrivendone il nome sulla scheda. Nel sistema dei collegi uninominali, invece, il nome del candidato lo decide il partito e lo si trova già stampato sulla scheda, per cui il cittadino elettore o è d’accordo o deve cambiare partito. Ed è inutile aggiungere che nel 70 per cento dei collegi uninominali già si conosce l’orientamento politico dei territori. Insomma, si toglierebbe con la mano sinistra ciò che si dice di voler dare con la mano destra.
Questo è solo uno dei tanti trabocchetti che le norme elettorali possono nascondere, ma ciò non ci impedisce di dire che la proposta di Veltroni, e la larga eco favorevole che ha raccolto, sono la pietra tombale su quel bipolarismo elettorale che ha costretto in questi anni ogni schieramento ad accogliere tutto e il contrario di tutto. E l’attuale maggioranza di governo ne è la più plateale conferma.
Quel sistema fu sostenuto agli inizi degli anni Novanta da un malefico intreccio di potere tra alcuni grandi organi di informazione e da una parte del cosiddetto salotto buono del capitalismo italiano, che tutto era tranne che buono, come hanno poi dimostrato i fallimenti aziendali di molti suoi protagonisti.
Nel 1998 un convegno organizzato da Giulio Andreotti, dalla Lega e da Fausto Bertinotti sui sistemi elettorali vide la partecipazione attiva di Silvio Berlusconi che con coraggio e lungimiranza si spese per il ritorno al proporzionale contro l’orientamento dei Ds e della Margherita. L’attuale freddezza di Forza Italia sulla proposta Veltroni ha dunque solo un sapore tattico perché l’obiettivo principale per il Cavaliere è la caduta del governo Prodi.


Se mai la maggioranza dovesse tenere, non c’è dubbio che il sì di Forza Italia alla proposta Veltroni sia nei fatti, perché il primo partito d’Italia tutto può temere tranne che un sistema proporzionale. E forse può essere l’inizio di un’inversione di marcia capace di ricostruire in Italia un sistema democratico. La strada è tutta in salita, ma la forza delle cose può essere la carta vincente.

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