Non turatevi il naso

Non  turatevi il naso

Si capiva benissimo, leggendo ieri l’editoriale del professor Giovanni Sartori sul Corriere della Sera - «Il voto fiducioso e quello punitivo» - che di queste elezioni a lui non piace proprio niente. Non gli piacciono i toni della campagna elettorale, non gli piacciono gli strumenti della propaganda a cominciare dalla televisione, non gli piacciono i candidati, non gli piacciono i programmi. Conoscitore e ammiratore della democrazia americana, Sartori finisce per ammettere che non gli piace nemmeno quella perché ha il suo momento cruciale, quando si sceglie il Presidente, nei faccia a faccia televisivi: dove, argomenta il professore, vince chi ispira più fiducia, ma «i grandi imbroglioni sono tali proprio perché ispirano fiducia».
Spazzato via d’un colpo tutto l’armamentario politico che ogni campagna elettorale comporta, liquidati come turlupinatori J.F. Kennedy, Reagan, Clinton che ispiravano fiducia, Giovanni Sartori avrebbe dovuto secondo me azzardare una conclusione semplice e logica. Essendo lo spettacolo miserevole, essendo i protagonisti dei guitti mi chiamo fuori, non prendo posizione e non voto.
Invece il professore vota in favore dell’Unione alla quale vanno la sua fervida disistima e sfiducia. Esperto di economia e di amministrazione Sartori sa quale impatto abbia una elezione politica sulle vicende del Paese nei successivi cinque anni. Sa inoltre che la traccia dell’azione futura d’un governo sta nel programma. Voterà Unione, ma definisce il programma di Prodi «un indigeribile pasticcio cucinato da troppi cuochi (undici per l’esattezza)». Dunque il professore si fa forza, un po’ alla maniera di Montanelli quando suggerì di votare Dc magari turandosi il naso. Ma la scelta di Montanelli apparteneva a una fase drammatica della vita nazionale e internazionale, ed erano in giuoco la libertà e la democrazia dell’Occidente tutelata in Italia - con qualche risvolto di ammorbante affarismo e clientelismo - dalla Democrazia cristiana e dai suoi alleati.
Oggi non siamo a questo, per fortuna. Sono in giuoco cose molto importanti per l’ordine pubblico come per le tasche dei cittadini, ma nessun Annibale con falce e martello è alle porte e la minaccia islamica è preoccupante ma non urgente. La vera posta è la gestione del Paese. E Sartori ritiene di poterla tranquillamente affidare a una coalizione i cui propositi lasciano intravedere disastri. L’Unione annuncia una ribollita nella quale sarebbe carente la qualità e sulla quale verrebbero sparse le sostanze tossiche di dirigismi anacronistici, di misure afflittive per le proprietà e i patrimoni considerati un crimine. Lo so bene, Sartori non è d’accordo, ma è disposto a chinare il capo.
Farà il sacrificio per castigare e mandare a casa «chi ci ha così bene disastrati», ossia Berlusconi. Al quale viene specificamente rinfacciata la colpa d’un immenso debito pubblico che verrà ricevuto in eredità dal nuovo governo.
Sicuramente Berlusconi e i suoi alleati non le hanno azzeccate su tutte ma l’addossare a loro un onere accumulato nei decenni precedenti - anche da governi sui quali il giudizio di Sartori è positivo, e tra gli altri dal governo Prodi - è arbitrario a tal punto che se non conoscessi e apprezzassi il professore lo qualificherei un grande imbroglio. Si può essere scoraggiati da alcuni aspetti francamente molesti della campagna elettorale ma non si può, come fa Sartori, sorvolare sui programmi ritenuti ininfluenti e tracciare un consuntivo fazioso delle cose fatte.

Un approccio opposto a quello martellato quotidianamente da Prodi, da Fassino, da Rutelli che tuonano «parliamo del futuro». Parliamone allora. Il futuro, nel centrosinistra è tutto scritto nell’indigeribile pasticcio cucinato da undici biasimevoli cuochi.

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