La nuova galleria Visconti mostra Alighiero Boetti

L’esposizione delle opere dal 1969 al 1982 negli spazi che un tempo furono di Lucio Fontana a Palazzo Cicogna

Luciana Baldrighi

Un’occasione unica per avvicinarsi a un artista straordinario come Alighiero Boetti offerta da Giangaleazzo Visconti di Modrone che ha aperto una nuova Galleria d’arte in corso Monforte 23 negli splendidi spazi che un tempo furono di Lucio Fontana e poi dello Studio Casoli. Giangaleazzo Visconti aveva già avviato in parte la sua attività espositiva in queste quattro ampie sale che danno su un antico parco all’interno dello storico Palazzo Cicogna Mozzoni, già «grande Casa da Nobile» con annesso parco in borgo Monforte.
«Il Palazzo fu iniziato nel 1500 in stile rinascimentale con una facciata barocca prospiciente il giardino. Stucchi decorati con affreschi e mosaici che fungono da cornice ideale per le esposizioni d’arte. Un modo per creare un continuum tra passato e presente» spiega Giangaleazzo Visconti di Modrone che ha intenzione di trasformare questo luogo nella sede deputata dell’arte contemporanea e moderna. Noblesse oblige...
La mostra di Alighiero Boetti, autodidatta, torinese (classe 1940) si basa sulla scelta di grandi disegni a china nera su cartone per poi passare dalla carta all’oggetto tridimensionale con materiali non pittorici. Visconti vuole valorizzare il linguaggio del tempo e dello spazio che Boetti, grande esponente dell’«Arte Povera», nel corso della sua vita ha praticato, specie negli anni Sessanta, nel nome dell’arte concettuale. In mostra fino 31 maggio sono presenti tre tipologie di opere di grande formato che coprono un arco di tempo che va dal 1969 al 1982: il primo «planisfero politico», le «biro», i «collage». «La mappa su carta di Boetti, realizzata sostituendo alla geografia politica degli Stati del planisfero la loro bandiera, è la prima (1969/70) di una serie di mappe ricamate di varie misure, concepite in modo mutevole basandosi sulla precarietà della storia contemporanea - spiega il gallerista -. L’idea dello scorrere del tempo e della sua tangibilità ritorna nelle biro: utilizzando le comuni penne a sfera, oggetti economici e privi di velleità estetiche, Boetti scopre un nuovo linguaggio basato sul tratteggio, segno grafico ripetitivo e, su una nuova concezione del rapporto spazio tempo». La realtà per l’artista è in continuo divenire come lo è per la maggior parte degli artisti di cui di occupa Visconti: Fontana, Burri, Manzoni, Melotti, Pascali, Schifano insieme ad altri esponenti dell’Arte povera e della Pop art. Fotomontaggi come «Gemelli» ad esempio, inaugurano il tema del doppio senza dimenticare di reiterare con meditazione zen il gesto quasi fosse un rituale. Dal 1971 iniziano i suoi viaggi in Afghanistan che per Boetti diventa una seconda patria. «Mettere al mondo il mondo» e «Ordine e disordine» sono dei cicli dai quali scaturiscono splendidi arazzi. Seguono le proiezioni aritmetiche e architettoniche abbandonate poi nel 1969. Tornano gli arazzi «Tutto», immagini in silhouette che coprono completamente la superficie.

Nel 1993 a Grenoble e alla Stein di Torino, Boetti realizza un arazzo «Alternando da uno a cento e viceversa» con venti artigiani che fa il giro del mondo con un suo autoritratto nell’atto di innaffiarsi la testa. Un’immagine involontaria di commiato perché muore a Roma il 24 aprile del 1994.

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