La nuova strategia. Ora l’obiettivo è colpire le élite. Funzionerà?

Il polverone sollevato in queste ore in Iran sull’assassinio dello scienziato nucleare Massoud Ali Mohammadi è fatto di informazioni e disinformazioni che si elidono: era un grande sostenitore del regime; no, era un fiero alleato di Mir Hossein Moussavi, anzi aveva firmato una lettera in suo sostegno; era stato visto per strada inseguire gli studenti che partecipavano alle manifestazioni; no, era un tipo completamente apolitico. È stato il Mossad, sono stati gli americani; no, è un assassinio interno al regime... E così via. Tutte queste diverse informazioni diffuse da agenzie di stampa, da vecchi amici dell’ucciso, dal rettore dell’università, dal governo iraniano stesso hanno tutte quante la stessa origine, e tutte tendono verso un solo punto: il caos. Perché, comunque sia andata la vicenda, resta chiara una cosa sola: Mohammadi non insegnava storia dell’arte, insegnava fisica nucleare. Non sappiamo se questo gli assegnasse un ruolo nei lavori in corso per costruire la potenza nucleare iraniana, ma possiamo pensare che un avvertimento ai dissidenti da parte del governo avrebbe potuto essere dato semmai colpendo qualche personaggio in vista nella rivoluzione in atto contro il regime di Ahmadinejad e degli Ayatollah. E che, per converso, se a colpire fosse stata un’organizzazione di opposizione interna, come dice l’agenzia televisiva iraniana Press Tv che accusa un gruppo monarchico, la Royal Association, allora avrebbe mirato a qualche personaggio famoso. Qui, comunque, abbiamo un fisico nucleare, tranquillo, normale, adatto quindi a un’attività segreta, in un Paese che ne ha visto svariati svanire all’orizzonte. Dunque, anche se non sappiamo che ruolo abbia avuto o avrebbe potuto avere Mohammadi, sappiamo che era parte di una categoria al centro della vicenda iraniana di questi tempi, e in un momento in cui la minaccia del nucleare è diventata particolarmente pressante.
Sei nazioni stanno in questi giorni pianificando di incontrarsi il prossimo fine settimana per prendere una posizione dura di fronte a una sfida sempre più arrogante, mentre gli ultimi studi parlano di almeno 4000 centrifughe che a tutto ritmo producono uranio arricchito. L’incontro, che probabilmente si svolgerà a New York, ascolterà da Hillary Clinton le conclusioni raggiunte dagli Usa dopo un periodo in cui, con l’Aiea e l’Onu, ha proposto favorevoli soluzioni per spingere l’Iran a cambiare politica: per esempio, quella dell’arricchimento dell’uranio all’estero. Ogni offerta è stata respinta con disprezzo da Ahmadinejad. Ora, la decisione è quella di stabilire sanzioni che colpiscano le élite iraniane risparmiando la popolazione. Un impegno dovuto, anche perché Obama aveva già promesso le sanzioni per la fine del 2009. Ma funzionerà? Difficile crederlo. L’ammiraglio Mike Mullen, presidente dei Capi di Stato Maggiore dell’esercito americano, ha detto, dopo aver confermato che la bomba è per strada, alcune parole che hanno una risonanza pratica confacente al tema di cui qui ci occupiamo: «Il potenziale sabotaggio occidentale o le sfide tecniche potrebbero influenzare parecchio la produzione nucleare iraniana». Questo mentre l’Amministrazione non dimentica mai di tenere pronto il suo esercito per eventuali scontri, ha detto Mullen. L’idea, insomma, è che ci sia poco da discutere con l’Iran - di cui ora si dice che ha impianti nucleari segreti ormai nascosti in gallerie mischiate con molte altre cavità vuote per confondere ogni attaccante -, che il 6 gennaio ha minacciato di prendere il totale controllo dello Stretto di Hormuz, con conseguente blocco del Golfo Persico, che per bocca di Ahmadinejad dichiara il suo disprezzo per ogni minaccia di sanzioni...

Diventa chiaro, quindi, che la lingua che può capire l’Iran odierno, che coniuga la persecuzione dell’opposizione con la costruzione del nucleare, non è certo solo quella della diplomazia. Questo tutti lo capiscono: Israele, gli Usa, l’opposizione...

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