
Da sempre contro il conformismo politicamente corretto ritornano sul fronte musicale e dell'essere i Dish-is-Nein, con la stessa energia vitale delle loro origini come Disciplinatha, quando rivoluzionarono nella fine degli anni 80 dello scorso secolo il mondo musicale italiano con lo stile industriale-elettronico di Abbiamo pazientato 40 anni. Ora basta! e Crisi di valori e le loro provocazioni non solo estetiche ma etiche, necessarie a squarciare veti, negazioni e ipocrisie. Lo fanno i membri storici della band Cristiano Santini e Roberta Vicinelli, assieme a Justin Bennet e con la collaborazione musicale di Martha Freidank, Federico Bologna e Sergio Messina e nei testi di Alessandro Cavazza, autore del documentario sui Disciplinatha Questa non è una esercitazione, e Renato Mercy Carpaneto degli Ianva, con un nuovo album, Occidente, a Funeral Party (Over Dub Recordings/Black Fading Records), ora disponibile sia in digitale che in CD e LP e che è stato presentato in anteprima il 15 marzo scorso al Teatro Fabbri di Vignola con uno spettacolo definito da uno spettatore «un concerto liturgico, spaventoso, anche senza la chitarra dell'Uomo (il chitarrista Dario Parisini, scomparso il 9 giugno 2022)».
Occidente, la prima traccia dell'album, distorto-marziale e ritmata, detta la linea senza compromessi della formazione sia nella musica che nei testi degli altri brani, contro un mondo «solidale oscurantista, per la pace e l'inclusione», sboccante naturalmente in «uno stato d'eccezione» schmittiano di libertà sospese in nome di un occidente ridotto a «un niente, un bancario non più un uomo, la lotta al patriarcato, un sudario, la bamba, la Nato», tra «Hollywood e una pastasciutta antifascista, abbuffata globalista». Finale raccolto, con la riflessiva Superfluo e con A Funeral Party (SuDario), tributo a Parisini affidato alle parole lucide e struggenti allo stesso tempo di Renato Carpaneto.
Così Cristiano Santini e Roberta Vicinelli ci narrano le motivazioni del rilanciare la loro personale rivolta: «Questo è un nuovo capitolo della nostra storia musicale, umana e personale. Dopo la scomparsa di Dario, molti, inclusi noi stessi, Cristiano Santini e Roberta Vicinelli, credevano che il progetto Dish-is-Nein fosse giunto al termine. Poi è successo l'imponderabile, la passione è riemersa, il fuoco ha ripreso a camminare con noi. Abbiamo raccolto le macerie, sanato le ferite, anche se alcune di queste, le più profonde, inevitabilmente rimarranno, perpetuamente sanguinanti. Ha prevalso la voglia di esserci, di rimetterci alla prova, la necessità di raccontare di questi tempi tossici, un mondo al capolinea, la fine del-la festa, il senso di desolazione che attanaglia il cuore ed esilia la mente esuli nel migliore dei mondi possibili. Dish-is-Nein è per natura l'opposto della stasi. Fin dagli albori dei Disciplinatha abbiamo avuto come obiettivo un oltre che neppure noi, ancora oggi, conosciamo fino in fondo.
In questo percorso, Dario era fondamentale: oltre alle sue chitarre, portava la sua presenza e una visionarietà lucida in grado di spingersi oltre il presente. Come fare, ora? Per onorare il suo ruolo, Dish-is-Nein ha scelto di non sostituirlo. Nel nuovo album Occidente, a Funeral Party non ci saranno chitarre. Il DNA della musica rimane lo stesso, ma la sua assenza sarà una presenza evidente e definitiva. Questa scelta rappresenta un modo per capire chi sono Dish-is-Nein oggi e cosa saranno in grado di raccontare, immaginare, fotografare, quali coscienze sapremo smuovere. Naturalmente, anche quante persone saremo in grado di fare incazzare».
Concludendo poi con la visione del mondo inscritta tra le tracce dell'album: «Il nuovo millennio, universo perdente, nichilista e fallimentare, figlio abortito dell'idea di società delle culture condivise, dell'inclusività da copertina, buoni propositi prêt-à-porter da sbandierare quando conta, la democrazia dei social media, il senso del possesso a prevalere su qualsiasi cosa: gli ultimi rimarranno sempre tali E chissenefrega di questi reietti umani Noi volgiamo il nostro sguardo al progresso, il futuro, l'olocausto. Il piombo prevale sempre, col sangue a sancirne il giusto prezzo da pagare.
Il crepuscolo schiaccia qualsiasi speranza di risveglio; siamo in guerra, da sempre, felicemente allineati ai nostri valori, quelli giusti, quelli sani. Il bene, il male, chi va catechizzato e chi va eliminato, trasfigurato, bullizzato, deriso. Il nemico, ovvero colui che osa mettere in discussione il migliore dei mondi che abbiamo plasmato, lo status quo Bombe e pennelli, slogan e menestrelli. Un fallimento previsto, annunciato, con buona pace dei fautori di quel canone europeo miseramente e rovinosamente fallito da decenni e come ampiamente rimarcato anche in questo primo quarto di secolo del terzo millennio.
Del resto, e dopo tutto, siamo ancora schiavi dei liberatori, siamo culla di una morente cultura secolare che, drammaticamente, non riesce ad emanciparsi dal volgare e dozzinale mainstream d'oltreoceano, ancora strangolati da quella cambiale eterna, firmata nel secolo scorso, alla fine della guerra.
Nell'impossibilità di accettare tale declino, mi arrogo il diritto di non scelta, perché non mi ritrovo nel vostro giusto e sbagliato, verità e menzogna; la vostra verità, le vostre menzogne. Che s'alzino quindi i roghi e si brucino gli eretici, si decapiti il dissenso, con la piazza ululante ed inneggiante».
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