Nuovi assalti a Gaza, rabbia islamica perfino a Nazareth

Bandiere bruciate e sassate contro il centro culturale tedesco e la sede della Commissione europea. Ma le Brigate al-Aqsa, concorrenti di Hamas, offrono protezione alle chiese cristiane

Gian Micalessin

da Gerusalemme

La rabbia islamica non si placa. Le bandiere europee continuano a bruciare, gli slogan infiammano gli animi, i commercianti palestinesi giurano di boicottare i prodotti danesi, francesi e tedeschi, torme infuriate moltiplicano gli assalti agli edifici simbolo dell'imperdonabile colpa del vecchio Continente. A Gaza una tempesta di pietre s'abbatte sulle finestre del centro culturale tedesco. Dentro non c'è anima viva da almeno due giorni. Sotto una ventina di scalmanati preme sui cancelli senza difesa, brucia la bandiera di Berlino, inneggia al Profeta, offre anima e sangue per redimere l'offesa. In fondo alla stessa strada un'altra trentina d'esagitati con i volti coperti dalle kefiah sfoga il proprio ardore islamico contro la sede della Commissione Europea e - dopo i consueti roghi simbolici - c'innalza sopra la bandiera palestinese. La conquista dura meno di mezz'ora, poi la polizia palestinese, assente fino a qualche minuto prima, interviene ammaina il drappo e manda tutti a casa. A Hebron un'altra dozzina di palestinesi arrabbiati circonda la sede della missione di osservatori internazionali presente in città da oltre una decina di anni. Anche qui la coreografia è la stessa. Slogan, bandiere in fiamme, minacce di boicottaggio per tutti i prodotti europei.
L'ira islamica tracima persino all'interno dello Stato d'Israele e mobilita la comunità araba. A Nazareth 500 militanti fondamentalisti si radunano davanti la moschea As Salam e al grido di «Allah è grande Maometto è il suo profeta» raggiungono la basilica dell'Annunciazione. Davanti al luogo simbolo del cristianesimo e della sua comunità religiosa lo Sceicco Raed Salah, leader del Movimento Islamico, infiamma la folla e lancia le consuete accuse all'Europa.
Nonostante il susseguirsi d'assalti ed intimidazioni tra fila dell'estremismo palestinese incomincia però a tirar aria di retromarcia. I leader delle Brigate Martiri Al Aqsa, il braccio armato di Fatah avanguardia della protesta, non sembrano più così determinati ad associare il loro nome alle minacce anti-europee. Soprattutto da quando i concorrenti di Hamas gli hanno sottratto la guida della protesta dissociandosi, però, da ogni forma di violenza e offrendosi di difendere le scuole e le chiese cattoliche di Gaza minacciate dalla Jihad Islamica e dalle stesse Brigate Martiri Al Aqsa. Così ieri i «brigatisti» di Gaza si sono presentati davanti alla scuola e alla chiesa della «Sacra Famiglia» minacciate di distruzione e hanno distribuito dolci e bibite a suore, preti e insegnanti cattolici.
Identico cambio d'atmosfera anche a Nablus, la turbolenta città della Cisgiordania dove, giovedì sera, le Brigate avevano rapito, e subito rilasciato, un giovane insegnante tedesco. Nasser Abu Aziz , il numero tre delle Brigate Al Aqsa incontrato due settimane fa proprio in quell'hotel Jasmine dove è avvenuto il rapimento, nega adesso qualsiasi responsabilità. «Noi non siamo i rapitori - spiega in un'intervista telefonica al Giornale - noi siamo i liberatori. L'uomo che ha preso quel tedesco è uno dei nostri, ma è un ragazzo malato, soffre di disturbi mentali, non ragiona. Non appena siamo stati informati di quella bravata ci siamo messi sulle sue tracce e abbiamo risolto tutto. Ora il colpevole verrà punito secondo le nostre regole». Archiviato il rapimento, dimenticate le minacce di sequestrare tutti gli europei che metteranno piede in città Nasser Abu Aziz si dichiara uno strenuo sostenitore dell'ordine e della legalità. «Certo ci sentiamo offesi, siamo arrabbiati come tutti i musulmani, ma non possiamo dimenticare d'essere membri delle forze di sicurezza dell'Autorità Palestinese, siamo una forza militante, ma difendiamo l'ordine e la legalità». Neppure ricordargli che l'hotel Jasmine è il luogo di ritrovo preferito della sua banda serve a fargli ammettere qualche responsabilità.

«Quella sera all'hotel Jasmine noi non c'eravamo, c'era solo quel ragazzo un po' matto, ma se non mi credete venite qui a Nablus , tornate a trovarci e vedrete... Finché ci siamo noi la legge, qui a Nablus, sarà la stessa per i palestinesi e per tutti voi stranieri».

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