Olmert agli arabi: «Pace possibile in 5 anni»

Di certo sa qualcosa di più. Di certo sogna che si avveri. Sarebbe un colpo da maestro. Un colpo da grande pacificatore. Un colpo capace di risollevarlo dagli abissi degli indici di gradimento e di liberarlo dalle insidiose inchieste sulla guerra di mezza estate. Pochi mesi dopo quello sfortunato conflitto e subito dopo l’archiviazione dei grandi piani di ritiro dalla Cisgiordania Ehud Olmert andò, non a caso, ad incontrare in gran segreto un esponente di punta della dinastia saudita. Erano i prodromi di quanto Olmert spera si avveri dopo il summit della Lega Araba chiusosi a Riad giovedì scorso. Poco importa che dalle dichiarazioni ufficiali non traspaia alcuna dichiarazione incoraggiante per Israele. Il primo ministro israeliano Ehud Olmert , reduce lo scorso autunno da uno o più incontri segreti con le delegazioni saudite, confida ancora nella sapiente regia di Riad per arrivare «a un cambiamento rivoluzionario». Il premier confessa fiducia e speranze in un’intervista pubblicata ieri dal quotidiano israeliano Haaretz. «Sta emergendo - spiega il primo ministro delineando lo scenario creatosi nel mondo arabo grazie all’azione dei sauditi - un blocco di Stati convinti di aver sbagliato pensando ad Israele come al più grande problema mondiale... e questo è veramente un cambiamento rivoluzionario».
Partendo da queste premesse Olmert si dice pronto a discutere e a trattare con i sauditi e con chiunque condivida il loro punto di vista. «Ci sono delle idee interessanti - dichiara alludendo alla proposta di pace approvata giovedì dalla Lega - per questo siamo pronti a discutere e a confrontarci con i sauditi». Anche il diritto al ritorno dei profughi e l’inviolabilità dei confini del ’67, i due argomenti considerati per ora inaccettabili da Israele, possono secondo Olmert venir affrontati e discussi . «Il summit di Riad - afferma convinto il premier - è sicuramente stato importante. Non ci sentiamo delusi... vogliono che ci ritiriamo sui confini del ’67 e pretendono il diritto dei profughi al ritorno. Questo non ci sorprende, capiamo che non possa andare diversamente. Il contenuto è senza dubbio importante, ma è anche essenziale creare l’atmosfera, la posizione e l’indirizzo del dibattito».
Un po’ per scelta, un po’ per necessità Ehud Olmert accetta, insomma, di stare al gioco di Riad. Finge di considerare una scelta di facciata le asprezze di un summit che non ha, contrariamente alle previsioni, affrontato i temi del negoziato con Israele e si dice certo delle buone intenzioni saudite. «L’Arabia Saudita - spiega - è il paese che alla fine determinerà la capacità del mondo arabo di raggiungere un compromesso con Israele».
La totale apertura di Olmert dura comunque solo poche ore. A farlo tornare con i piedi sulla terra bastano le domande dei giornalisti del Jerusalem Post, che dopo aver visto l’intervista concessa al quotidiano rivale gli chiedono se sia pronto a una retromarcia anche sul diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Di fronte all’interrogativo su quel punto chiave, ovvero sul possibile ritorno dentro i confini dello Stato ebraico dei sopravvissuti all’esodo del ’48 e dei milioni di loro discendenti, Olmert deve per forza esibire la tradizionale fermezza. «No – risponde - non accetterò mai di riconoscere alcuna responsabilità d’Israele per il problema dei profughi, è una questione morale del più alto livello e non possiamo assumerci alcuna responsabilità». Ma anche dopo questo ritorno alla fermezza Olmert non tralascia di elogiare l’azione del sovrano saudita re Abdullah definendolo un leader «esemplare». «L’iniziativa saudita, da lui iniziata quando era ancora un principe ereditario, è assai interessante... indica il senso di grande responsabilità che l’Arabia Saudita è pronta a trasferire nella politica mediorientale».

Tutti questi elogi di fronte a risultati per ora deludenti fanno pensare che Olmert confidi, per conoscenza diretta, in mosse ancora non ufficiali dell’Arabia Saudita. E quasi a conferma arriva una dichiarazione al quotidiano Maariv. «Ho un sogno - confida Olmert -: che nei prossimi cinque anni ci sarà una pace generale del Medio Oriente».

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