Ora D’Alema fa mea culpa: «Cavalcare il giustizialismo di Mani pulite fu un errore»

RomaA volte basta poco per rischiarare la memoria. Una lettura giusta, una legittima ambizione, l’adrenalina per una nuova battaglia. Ecco allora l’entusiasmo rinascere, il sangue che torna a scorrere nelle vene, il vento che sgombra ogni nebbia. Il risveglio di Massimo D’Alema ha per cornice il Campidoglio e per quadro quanto accaduto in Italia dalla caduta del Muro di Berlino in poi. Quando, cioè, «finita anche l’illusione eurocomunista» il Pci si sciolse e «grazie anche a Craxi che non si oppose fummo accolti dal socialismo democratico internazionale. Ma non si realizzò in Italia quel che sarebbe stato naturale».
Ricordare fa bene, a volte. Ecco che tutto (o quasi) combacia. Tributato l’omaggio a chi aveva offerto la generosa unità a sinistra, proprio mentre il Muro rovinava sul comunismo, D’Alema lascia intendere perché quel progetto di alternativa franasse a sua volta (dirlo più chiaramente sarebbe stato troppo). Scoppiata Tangentopoli, ammette, «facemmo l’errore di illuderci che cavalcando l’ondata di antipolitica saremmo andati al potere». Un cinico calcolo, la classica soluzione all’italiana: tanto che altri accarezzarono lo stesso sogno della scorciatoia giudiziaria. «Anche la destra scese in piazza, più di me - ricorda D’Alema -. E tutti senza capire che c’era qualcuno che era più navigato di noi per solcare le acque dell’antipolitica e infatti vinse le elezioni: Silvio Berlusconi».
Il Migliore dei Peggiori (copyright Feltri) non ci sta però a considerare il suo ex partito, «già alle prese con lo psicodramma collettivo della trasformazione», come «una Spectre che gestiva la magistratura contro Dc e Psi, a Botteghe Oscure non manovravamo Di Pietro e Borrelli. E infatti anche noi fummo sballottati, vivevamo con trepidazione gli avvisi di garanzia, io sono stato oggetto di inchiesta per nove anni, poi assolto e risarcito dallo Stato, e il nostro amministratore Stefanini ricevette un avviso di garanzia e morì praticamente di crepacuore...».
E dopo quindici anni, sarebbe pure ora di uscire dalla transizione. Fatto è, sostiene D’Alema, che «solo nel nostro Paese il tema del rapporto tra politica e magistratura viene vissuto come una psicosi, invece è un problema delle democrazie contemporanee. Ma altrove si affronta in modo meno drammatico». Così non ci sarebbe nulla di male se anche il sistema politico si autoriformasse, come aveva provato a fare la sua Bicamerale (per la quale «ho pagato un prezzo personale incalcolabile», dice il Nostro). L’attuale bipolarismo è «primitivo», e la legge elettorale vigente «rozza».

«Tutto questo è pericoloso e non funziona», conclude D’Alema, che perfezionerebbe il sistema con il «presidenzialismo, che è molto meglio di questo Parlamento svuotato dalle sue funzioni: una coorte nominata dai leader di partito». Avanti riforme, dunque: «Spero che qualcuno ci riesca». Lui, forse ormai lontano da queste beghe casalinghe, ci saprà guardare con benevolenza. E arriccerà il baffino sorridente.

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