Ora il regime arresta anche il figlio di Sakineh

Chi dà retta a Mahmoud Ahmadinejad e crede veramente che la vicenda di Sakineh Mohammad Ashtian sia una bufala montata dai media occidentali è servito. Mentre Sakineh attende che le infilino il cappio al collo, la persecuzione si estende anche ai suoi figli, ai suoi legali e ai giornalisti impiccioni. Il nuovo atto del caso Sakineh si apre domenica nello studio dell’avvocato Houtan Kian. Nell’ufficio entrano prima Ghaderzadeh, uno dei due figli della condannata, e subito dopo una coppia di giornalisti tedeschi. Grazie all’aiuto telefonico di Mina Ahadi, portavoce del «Comitato Internazionale contro la Lapidazione» impegnata a tradurre la conversazione i due reporter fanno il punto sulla situazione di Sakineh e sulle minacce subite dai suoi due figli. Il reportage dura poco. All’improvviso la signora Ahadi sente le urla di uno sconosciuto e la voce di uno dei due giornalisti che le grida «Ora dobbiamo chiudere». Da quel momento il silenzio. Spento il telefono dei giornalisti, spenti quelli dell’avvocato e di Ghaderzadeh. Solo ieri - dopo l’allarme lanciato dal «Comitato contro la Lapidazione» le autorità giudiziarie di Tabriz annunciano il fermo di due giornalisti tedeschi accusati di esser arrivati nella città senza l’accredito stampa. Sulla sorte di Ghaderzadeh e dell’avvocato Kian neppure un fiato. Per intuire la loro sorte non serve Sherlock Holmes. Non più di dieci giorni fa Ghaderzadeh e suo fratello si erano appellati al presidente Berlusconi chiedendogli di salvarli dalla persecuzione delle autorità e di aiutarli ad ottenere asilo politico nel nostro paese. L’intervento della Farnesina già mobilitata non arriva in tempo. Ghaderzadeh e l’avvocato si trovano ora in una delle tante segrete in cui sparisce chiunque disturbi il regime o riveli verità scomode. Verità che coinvolgono il presidente iraniano. Lo scorso 18 settembre Mahmoud Ahmadinejad approfitta di un tour newyorkese alle Nazioni Unite di New York per denunciare la faziosità degli organi di stampa occidentali. A suo dire la signora Sakineh non è mai stata condannata alla lapidazione per adulterio e l’intera faccenda è un’invenzione dei media occidentali. Il colpo da maestro del presidente pasdaran è l’invito ad occuparsi - piuttosto - del caso di Teresa Lewis, la condannata americana mandata a morte proprio in quei giorni. Per tante anime belle occidentali, sempre pronte a indignarsi per le colpe americane e ad ignorare le nefandezze dei vari regimi illiberali, il consiglio del presidente è un invito a nozze. In poche ore fanno «mea culpa», chiudono il caso Sakineh derubricandolo al rango di bufala e tornano a dedicarsi anima e corpo all’annoso dibattito sulla pena di morte in America. Poi il 28 settembre il procuratore Gholam-Hossein Mohseni-Ejei conferma la condanna a morte di Sakineh facendo sapere che la donna verrà impiccata per complicità nell’omicidio del marito. «La sua condanna a morte per omicidio ha la precedenza sulla punizione per l’adulterio» spiega il procuratore aggiungendo che gli «organi giudiziari iraniani non si faranno influenzare dalla propaganda dai paesi occidentali».

E visto che le principali fonti dei media occidentali, il figlio di Sakineh e il suo avvocato, sono in galera la campagna probabilmente manco riprenderà. Ci sveglieremo una mattina e vedremo la foto del cadavere penzolante di Sakineh. Con buona pace delle anime belle e della loro cieca fiducia in Ahmadinejad.

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