Orbassano, crolla la roccaforte rossa «Finalmente qualcosa è cambiato»

È il primo comune della cintura operaia torinese a voltare le spalle alla sinistra. Il Pd: «Forse non siamo riusciti a farci capire bene»

nostro inviato

a Orbassano (Torino)

«Sa che cosa c'è? C'è che da stamattina rivediamo sorridere le persone». La negoziante del centro rifiuta di dirmi il suo nome - in fondo lei deve vendere a tutti, destra o sinistra non conta -, ma di una cosa è certa e vuole farlo sapere: «C'è un'atmosfera più felice. Sì, finalmente qualcosa è cambiato», insiste. Il «qui» è Orbassano, 23mila abitanti, grosso anello di quella cintura operaia torinese, storicamente rossa (ininterrottamente dal dopoguerra), dove i nomi stessi dei luoghi, degli altri «qui» che la compongono - Rivalta, Beinasco, Piossasco, Volvera - ti parlano di sveglie che trillano sempre troppo presto, di vite sudate, di bulloni da stringere, del clangore di lamiere sagomate dalle presse, del puzzo invasivo della vernice fresca.
E di fatto nulla è cambiato, nella vita di questa gente, le cui sveglie continuano a trillare sempre troppo presto, quando fuori è ancora notte. Ma da ieri, la gente degli altri «anelli» guarda a Orbassano con occhi diversi. Per qualcuno è un luogo di marziani, per altri un covo di traditori della «causa», per i più moderati è solo un interessante laboratorio politico («Vedremo», dicono). Perché da ieri Orbassano è il primo comune della cintura ad aver voltato le spalle a una storia di amministrazioni di sinistra, portando sulla poltrona di sindaco Eugenio Gambetta, capolista del Pdl. Con un effetto choc - fatte le dovute proporzioni - paragonabile a quello di Alemanno a Roma. E con un responso delle urne analogo alla recente conversione (alle ultime politiche) dell'ormai ex Stalingrado d'Italia, quella Sesto San Giovanni folgorata sulla via di Arcore.
Gambetta, 56 anni, piccolo imprenditore dell'impiantistica, qui non è un volto nuovo. Ex socialista - «una bandiera e un'origine che non ho mai rinnegato», dice con orgoglio - è stato più volte in consiglio comunale. «Poi, dopo il '94, con la sparizione del mio simbolo, mi ero ritirato dalla politica, decidendo di rientrarvi nel 2003, con Forza Italia». A portarlo alla vittoria al ballottaggio, con un sonoro 58,63% contro il 41,37% del Pd, è stata «la compattezza dello schieramento che oltre a Fi, An e al Nuovo Psi, ha potuto contare sul contributo dei Circoli della libertà, della Lega con il suo simbolo, della lista civica Obiettivo Orbassano e sull'apparentamento con l'Udc che al primo turno correva sola», riassume il neo sindaco senza enfasi, ma sorridente sotto i baffetti bianchi.
Piangono invece a sinistra. C'è chi attribuisce la colpa agli ex compagni. Per Antonio Napolitano, ex metalmeccanico in pensione e consigliere uscente di Rifondazione comunista «è stata la cocciutaggine del Pd a voler correre da solo», sentenzia tra i lazzi degli amici di centrodestra riuniti davanti al Comune, nel salottino di piazza Umberto I. Mentre Sebastiano Fischetto, assessore uscente al Bilancio ed esponente del Pd, più che scaricare le colpe su qualcuno sembra riversarle sull'intero schieramento perdente. «Forse non siamo riusciti a farci capire bene - ammette - o forse oggi la politica deve essere molto più rapida nelle decisioni di quanto non lo sia stata fino a ora». Come dire: forse gli altri sono quanto meno riusciti a far credere di saperlo fare. A introdurre un elemento di conoscenza in più, anziché un'analisi strettamente politica, è invece l'ex vicesindaco PierCarlo Barberis, della Margherita, appassionato storico della città e presidente della Società di Mutuo soccorso San Giuseppe. Che ricorda come in realtà la storia «rossa» di Orbassano sia in realtà relativamente recente, legata proprio a quell'immigrazione vertiginosa trascinata dalla Fiat, un turbine sociale che aveva portato i 4.500 residenti del dopoguerra ai 19mila del grande boom anni Sessanta. Mentre prima?, gli chiedo.

«Prima, gli unici immigrati erano stati quelli in fuga dal Polesine, cattolicissimi contadini veneti che arrivavano proprio qui, a coltivare le nostre terre, forse attratti dalla luce di quella che veniva chiamata la “Orbassano di Dio” per l'alto numero di vocazioni sacerdotali». Poi, fu la catena di montaggio...

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