Da Osama a Gheddafi:  per i leader spietati è stato un anno nero

Sembravano inamovibili e invece sono spariti in pochi mesi: uccisi o in fuga

Da Osama a Gheddafi:  per i leader spietati è stato un anno nero

Adesso che anche il «Caro Leader» ci ha lasciati possiamo dirlo. È stato l’«annus horribilis» degli uomini forti. Mai, nello stesso novero di mesi, si era vista Nemesi aleggiare su così tante case regnanti del Potere, portandosi via, in senso letterale talvolta, in senso metaforico talaltra, tutta una serie di mammozzoni che sembravano immortali, inamovibili, inossidabili.

L’ultimo colpo di gong è risuonato laggiù, dall’altra parte del mondo, dilagando dal mar Giallo al Pacifico. Il dolore, la desolazione, l’incredulità per un evento così... esagerato come la morte di Kim Jong-il sono stati plasticamente rappresentati da una annunciatrice della tv coreana che è scoppiata in lacrime e dai militari che non sapendo che pesci prendere hanno sparato a caso un missile a corto raggio. Immediate le ripercussioni (per la morte, non per il missile) in tutta l’area. Invece di scoppiare in una clamorosa risata (ancorché a denti stretti, per ovvie ragioni di decenza) la Corea del Sud ha messo in allarme le forze armate e il governo giapponese, in fibrillazione, si è immediatamente riunito.
Figlio di Kim Il Sung, detto il «Presidente Eterno», o anche il «Grande Leader», il «Caro Leader» è solo l’ultima delle Grandi Facce di Bronzo su cui si è abbattuta quest’anno sorella Sfiga.
Ad aprire le danze, il 14 gennaio, era stato il presidente tunisino Zine El-Abidine Ben Alì, cacciato a furor di popolo dopo 23 anni di dominio incontrastato. Cominciò con una protesta da niente e finì con centinaia di morti in piazza, finché Ben Alì se la filò in Arabia Saudita facendo calare su di sé, oltre a un infarto, anche il più fitto dei silenzi.

All’inizio di maggio toccò al presidente dell’internazionale del Terrore, Osama Bin Laden, centrato nel suo bunker vicino a Islamabad da una squadra di ranger americani che lo cercavano da dieci anni. La sua uccisione, in diretta, venne trasmessa in una sorta di «elimination room» davanti al presidente Obama, al segretario di Stato Clinton e a una cerchia ristretta di politici e militari fidatissimi. Zero clamore, zero pubblicità, basso profilo su tutta la linea.

Il 20 ottobre tocca al colonnello Gheddafi, preso vivo mentre scappava da Sirte, e linciato come un ladro di cavalli. Lo tengono prima in una cella frigorifera per polli, e poi in un container per casse d’acqua, prima di esporlo al ludibrio delle genti. Esposto come il Che, il torace e la faccia bucata dalle pallottole. Segue il mercatino dell’Orrore. Le mutande di seta viola, il pigiama a pois bianchi, lo specchio tondo e il pettine, una bottiglia di gin (in spregio alla legge del Profeta), gli occhiali da sole, un fazzoletto verde, il cappotto con le mostrine. Nulla, compreso il vilipendio, viene risparmiato all’uomo che per decenni era stato temuto e blandito dai potenti della Terra.

È andata meglio, ma solo apparentemente, all’ex presidente egiziano Hosni Mubarak, arrestato, processato, infartuato, dimenticato. A Hugo Chavez, padrone del Venezuela, roso dal cancro; a Fidel Castro, che è più di là che di qua e vede la sua revolucion sfiorire un giorno dopo l’altro, e al vecchio «faccia d’ananas», al secolo Manuel Noriega, rivisto per una frazione di secondo mentre lo trascinavano per la collottola, come un topo, da un carcere all’altro.

Sicché forse, rispetto alle giornate meschine apparecchiategli dal Destino, alcuni già rimpiangono la bella morte di Saddam Hussein, che prima di sprofondare nella botola col cappio al collo, tirando un angolo della bocca verso destra, disse a uno dei suoi aguzzini: «Tu non sei nessuno».

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