P4, per questi pm avere un tumore è un reato

Nelle intercettazioni depositate da Woodcock e finite in mano alla stampa, lo sfogo a Bisignani di un amico malato. Siamo alla barbarie pura, con il solo scopo di umiliare e togliere la dignità. Napolitano deve intervenire. E Bisignani racconta ai giudici come cercò di zittire il Giornale, bloccando l'inchiesta sull'appartamento di Montecarlo

P4, per questi pm avere un tumore è un reato

«Come stai, amico mio?», chiede Bisignani al suo interlo­cutore telefonico. «Si cerca di sopravvivere - è la risposta - a te posso dirlo perché sei come un fratello, ho un male brutto, un tumore al pancreas», e via con un lungo sfogo angosciato sulle cure in corso, la voglia comunque di lavorare in quelle condi­zioni. È la vigilia del Natale scorso. La telefonata è intercettata e consegna­ta ai pm di Napoli che ascolta­no e danno ordine di trascri­vere e allegare agli atti dell'in­chiesta cosiddetta P4. Questa è probabilmente l'intercetta­zione più vigliacca tra le mi­gliaia depositate da quel ga­lantuomo di John Woodcock. Alla pari solo di altre decine di conversazioni nelle quali si fa esplicito riferimento al tu­more che ha colpito una ra­gazza (identificabile) la cui unica colpa è di essere paren­te stretta­di uno dei protagoni­sti di questa vicenda.

Che rea­to è essere colpiti da un tumo­re? Perché un pm può violare le leggi (basterebbe il sempli­ce buon senso) che tutelano in maniera sacra tutto ciò che attiene alla nostra salute? È vietato, è contro i principi che regolano la nostra civiltà dif­fondere notizie sulle malattie senza il consenso degli inte­ressati, siano essi ministri, semplici cittadini, ergastola­ni. Io credo e spero che da qualche parte ci sia una nor­ma per la quale Woodcock debba pagare per questa por­cata. Se non c'è vuole dire che non siamo in un Paese sano. I passaggi di queste intercet­tazioni dovrebbero essere sul tavolo del presidente della Re­pubblica, che oltre a essere il capo del Consiglio superiore della magistratura, è anche il garante di quel signore e di quella ragazza malati di tu­mo­re e che mai avrebbero vo­luto far sapere al mondo di es­serlo.

Dovrebbero essere sul tavolo del ministro della Giu­stizia che deve garantire la li­bertà mia e di Travaglio ma anche, e forse più, quella dei malati terminali. Purtroppo sono già state sul tavolo del procuratore capo di Napoli, Giandomenico Lepore, che ha letto e avallato. Io non so se Lepore e Woodcock abbia­no o abbiano avuto mogli, fi­gli, parenti o amici malati di cancro. Il mio non è certo un augurio ma dovrebbero pro­varlo per capire quanto disu­mano sia spiare e diffondere i pensieri e le confidenze sul dolore degli uomini, sulla pa­ura di morire. Cosa c'entra con la giustizia, con una in­chiesta? Cosa ci voleva a omettere da quelle intercetta­zioni i passaggi sulla malat­tia? Ormai siamo davvero alla barbarie pura e per di più im­punita. Escludo che quella star televisiva del presidente dell'Associazione magistrati faccia qualche cosa di sensa­to per fermare questa macchi­na del fango, dubito che il Csm apra un'inchiesta, non credo che i giornali democra­tici si schiereranno a difesa dei due malcapitati. E questo aumenta il senso di ingiusti­zia, perché a differenza dei pm tutti i cittadini pagano per i loro errori. Dal divieto di sosta all'omicidio, lo Stato, giustamente, non ci dà tre­gua. Gli ordini professionali sono ormai diventati dei tri­bunali a tempo pieno. Io so­no stato condannato a due mesi di sospensione per aver fatto scrivere sul giornale (co­s­a per altro garantita dalla Co­stituzione) una persona che, a loro giudizio, non aveva i ti­toli.

E Woodcock e Lepore chi li sospende? Prima o poi qual­cuno dovrà farlo, perché non vogliamo vivere in un Paese dove le conversazioni private sulle malattie nostre e dei no­stri parenti vengano trascrit­te e allegate a un'inchiesta con l'unico scopo di

umiliar­ci e toglierci la dignità di uo­mini liberi. Per di più da parte di persone che hanno dimo­strato di non essere degne di servire lo Stato e che umana­mente non valgono un cente­simo in più dei loro inquisiti.

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