Padova, l’ateneo dà un premio al re dei prof «fannulloni»

PadovaPer il prof. Antonio Ambrosini ci sono una notizia buona e una cattiva. La notizia buona è che, favorito dal fatto di essere l’unico candidato, è stato rieletto direttore del dipartimento di Scienze ginecologiche dell’Università di Padova; la notizia cattiva è che martedì il Comitato dei garanti dell’azienda ospedaliera potrebbe dargli il benservito per via di una gestione un po’ troppo disinvolta e disordinata della clinica.
Tre anni di «incongruenze amministrative», dal 2006 al 2008: eccolo, in burocratese spinto, il risultato del voluminoso dossier elaborato dall’inchiesta interna condotta dagli ispettori ospedalieri. Tutto cominciò da una rivelazione del quotidiano La Stampa, nell’ottobre del 2008. In quell’occasione il giornale torinese pizzicò il professore, che è stato anche presidente della Sigo, l’associazione nazionale dei ginecologi, in una di quelle incongruenze amministrative che hanno del clamoroso. Il 9 novembre 2007, dalle 12,20 alle 13,16, un documento della clinica certifica che il prof. Antonio Ambrosini è stato pagato, in regime di intra-moenia, per un «taglio cesareo complesso» su una paziente.
Fin qui, nulla di male. Succede, però, che contemporaneamente, o, per essere più precisi, dall’8 all’11 novembre 2007, lo stesso prof. Ambrosini, stava partecipando al secondo Congresso Asia Pacific sulle Controversie in Ostetrica, Ginecologia & Infertilità, niente meno che a Shanghai, in Cina. La documentazione fotografica del congresso, con tanto di riunioni conviviali e sorrisi di rito, era a disposizione su internet. Domanda stupida: come faceva il professore a eseguire l’intervento di taglio cesareo complesso nella clinica di Padova se in quello stesso giorno era in un altro continente?
Di fronte all’ovvia obiezione, il professore si difese dicendo che c’era stato un banale errore di trascrizione. Cioè, una data per un’altra, o un nome per un altro. Il punto è che su quelle carte, su quei documenti si basa la remunerazione di chi è presente all’intervento. «Per un taglio cesareo complesso - scrisse all’epoca La Stampa - bisogna calcolare una cifra tra i 6mila e i 7mila euro lordi: il 60% sono tra i 3.600 e i 4 mila euro lordi per il primo operatore. Non è finita qui perché di quella cifra un altro 10% viene assegnato a tutti i medici del Dipartimento che operano in regime di intra-moenia. Resta un ultimo 10% che viene assegnato d’ufficio ad Ambrosini stesso in quanto direttore del Dipartimento. Vale a dire altri 6-700 euro per ogni cesareo realizzato da uno qualunque dei medici del dipartimento su pazienti solventi».
Il direttore generale dell’azienda ospedaliera padovana, Adriano Cestrone, volle vederci chiaro. E gli ispettori andarono a spulciare tra le carte degli interventi eseguiti dalla clinica retta dal prof. Ambrosini. E sarebbe proprio nel corso di questa indagine dettagliata che sarebbero emerse le tante irregolarità documentali. In sostanza, poiché ogni intervento prevede la compilazione di vari moduli, sarebbe emerso che 77 volte in 3 anni i dati incrociati darebbero luogo a errori. E per questo le conclusioni che deriverebbero dall’esame di questo dossier porterebbero alla censura dell’operato del medico.
Per questo, dopo la rielezione a direttore del dipartimento di Scienze ginecologiche, è probabile che martedì il prof. Ambrosini si trovi a dover rispondere, di fronte al «tribunale» interno, di incapacità di gestione della clinica. E tra i provvedimenti che potrebbero essere presi nei suoi confronti ci potrebbe essere l’allontanamento dalla clinica stessa.


Con gran tempismo, poi, Giorgio Palù, preside della facoltà di Medicina, ha inviato ai colleghi una lettera, pubblicata dal Mattino di Padova, in cui si dice «sconcertato dalla frequenza ormai quotidiana con cui i media si trovano a informare la collettività su presunte inadempienze di alcuni di noi con conseguente discredito di un’istituzione tra le più prestigiose in campo accademico e assistenziale» e per questo invita tutti a lavare i panni sporchi in casa. Non il massimo per «un’istituzione tra le più prestigiose», che dovrebbe essere una casa di vetro per i cittadini-pazienti-contribuenti.

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