Padova, in manette i signori dell’evasione

IN MANETTE Caduti nella rete imprenditori lombardi e veneti e faccendieri campani

PadovaPrendete un anziano che non sa come passare il tempo in ospizio, intestategli da una a cento società dai nomi più fantasiosi che potete, assumete da una a cento impiegate in grado di stampare fatture dagli importi tanto astronomici quanto inventati e alla fine porterete a casa un miliardozzo di euro esentasse. Anzi, strappandolo proprio dalle casse del fisco grazie a fantomatici rimborsi Iva escogitati da geniali giri di carta nella galassia di società create per la bisogna.
Il giochetto è andato avanti almeno per quattro anni, quanto sono durate le indagini della Guardia di finanza di Padova, già assurta agli onori delle cronache per aver pizzicato ricconi nullatenenti con panfilo a Porto Cervo e richiesta pendente ai servizi sociali per l’assegnazione gratuita dei libri di testo scolastici per i figli. Stavolta gli 11 arrestati e i 37 denunciati per questa frode colossale si sono rivelati dei veri e propri professionisti del settore. Una vera e propria associazione a delinquere, messa in piedi da imprenditori veneti e lombardi, col determinante appoggio di faccendieri napoletani e stranieri. Insomma, una holding molto organizzata della truffa internazionale che ha costretto il capitano Samuel Bolis, del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Padova a sguinzagliare i suoi uomini in tutta Europa, dall’Inghilterra alla Grecia.
«Abbiamo lavorato con una squadra ad hoc per quattro anni - conferma lo stesso Bolis - utilizzando intercettazioni telefoniche e ambientali, oltre ai consueti metodi di indagine documentale».
Hai voglia a fare indagini documentali. L’unica impiegata di ogni società, solitamente all’oscuro del malaffare che si celava dietro quel paravento, si metteva al computer e stampava fatture mica da ridere, roba da tre-quattro milioni di euro a botta. Motivo? Acquisti o vendite di telefoni cellulari e pure cd rom vergini destinati al vivace mercato partenopeo, un dettaglio, quest’ultimo, che ha indotto le Fiamme gialle a ritenere che una branca di questo mercato illecito fosse legata al fiorente settore della pirateria audio e video.
«Attraverso una serie infinita di società gestite solo apparentemente da anziani, extracomunitari e nullatenenti - hanno spiegato le Fiamme gialle di Padova - questi professionisti del raggiro hanno occultato redditi, dichiarato costi inesistenti e incassato l’Iva, complessivamente, per oltre un miliardo di euro».
Camion fantasma carichi di cellulari che partivano, si fa per dire, per chissà quale città d’Europa per poi ritrovarsi al punto di partenza, a Padova, pronti a indurre l’impiegata solerte a stampare la fattura acconcia, utile a conseguire il rimborso Iva e a rimpinguare le casse del titolare vero, non dell’anziano che dormiva tranquillo all’ospizio ignaro di essere a capo di un’azienda attiva nell’import-export. I finanzieri hanno bussato alle porte dei colleghi tedeschi, austriaci, inglesi e greci e, in alcuni casi, hanno scoperto che su certi personaggi si erano già accesi i fari degli investigatori europei. Ed è proprio grazie a questa collaborazione che sono state scoperti i collegamenti criminosi con altre società con base tedesca dove confluivano parte dei proventi creati ad arte dal giro di fatture. La tecnica dei geni della partita Iva, una volta spremute le società fittizie, scovate dalla Guardia di finanza per via di una sede composta da un mezzo sgabuzzino, un fax e, appunto, un’impiegata, consisteva nel farle morire d’inedia, evitando con cura di chiudere i conti con il fisco.

Alla fine il buco l’avrebbero dovuto chiedere i nonnetti prestanome, la cui denuncia dei redditi risultava largamente insufficiente a coprire alcunché. Il miliardo e passa di euro è il risultato di 370 milioni di ricavi non dichiarati, 437 milioni di costi non deducibili e 280 milioni di evasione dell’Iva.

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