Il Paese (sur)reale Muore Berlusconi: crisi di panico a sinistra

In morte di Silvio Berlusconi. Era in montagna, nel comasco, sul sentiero che sale alla capanna Menaggio. Un lastrone di ghiaccio, lui che scivola e precipita per trenta metri. Inutili i soccorsi, il corpo è stato recuperato dall’elicottero del 118. Diceva così l’agenzia, erano le 19.37 di ieri.
Dicono che le vere scene di panico si siano registrate a sinistra. «E adesso?», ha domandato il leader del Pd Pier Luigi Bersani aggiungendo uno sconsolato: «Non siamo pronti a governare». Al Fatto quotidiano si sono alzati tutti e se ne sono andati a casa, «tanto da domani non si vende una copia» s’è congedato il direttore Antonio Padellaro mentre un disperato Marco Travaglio firmava l’ultimo editoriale dal titolo: «E adesso che cazzo scrivo?». Ezio Mauro ha licenziato da Repubblica la coppia di segugi anti-Cav Bonini&D’Avanzo, «capirete che con quello che mi costate ora che il nemico non c’è più...».
Michele Santoro l’hanno sentito parlare con la Boccassini della necessità di inventarsi al più presto un nuovo bersaglio, mentre Antonio Di Pietro è corso a presentare un curriculum in polizia all’urlo di: «È vero o non è vero che non beccherò più un voto?». Gli ex democristiani, abituati a risorgere dalle proprie ceneri, sono rimasti più guardinghi. «Non ci facciamo imbrogliare, capace che quello sta fingendo», ha subito messo le mani avanti Pier Ferdinando Casini. Anche perché Sandro Bondi stava ipotizzando che no, «aspettate tre giorni e vedrete», Niccolò Ghedini continuava a ripetere: «Ma va là ma va là ma va là», mentre Gianni Letta è stato avvistato Oltretevere, sai mai che stesse avviando le trattative per la restituzione dall’Aldilà.
Le piazze, quelle si sono spaccate fra scene di giubilo e di disperazione, ma alla fine l’unico champagne lo ha stappato Gianfranco Fini. Non ha fatto in tempo a brindare, però. Perché alle 19.38 le agenzie hanno ribattuto la notizia: «Muore omonimo del premier».
Aveva 57 anni e viveva a Veniano, in quel di Como. Su quel nome da novanta ironizzava spesso. Operaio in tessitura, quando il premier si definí «presidente operaio» andò avanti a ridere per mesi: «Di Silvio Berlusconi operaio ci sono soltanto io». Doppia ironia della sorte, Silvio Berlusconi era un sostenitore del centrosinistra, oltre che di carattere schivo, fede interista e avversione alle telecamere. Quando il Cavaliere perse le elezioni lui esultò: «Evviva, ho perso!».

Raccontò poi ai giornalisti che più volte si trovò a dover rifiutare le candidature che gli erano state offerte con insistenza da liste civetta, ansiose di vantare un Silvio Berlusconi capolista.
In una cosa però somigliava al premier. A chi gli chiedeva se non avrebbe voluto cambiare nome, perché Silvio Berlusconi è davvero impegnativo, rispondeva: «Perché io?».

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