«Pagherò la scommessa: pellegrino ad Arcore»

RomaPresidente Beppe Pisanu, un’impresa bella e faticosa...
«Le fatiche si dimenticano facilmente con un risultato del genere».
Scusi, parlavo della sua scommessa: «Se vince Cappellacci non vado a Lourdes, ma ad Arcore».
«Ah! Ma quella è stata una battuta scherzosa scambiata con il presidente Berlusconi prima dell’inizio della campagna elettorale... La paura era che avessimo osato troppo nel proporre un candidato sconosciuto a gran parte dell’elettorato: il divario in termini di notorietà tra Soru e Cappellacci era di 60 punti. Poi lui è uscito bene, resistendo agli attacchi e dimostrando buona tempra politica».
Resta un miracolo.
«L’impegno iniziale di Berlusconi tendeva proprio a trarre Cappellacci dall’anonimato politico. Sono il primo a gioirne, dopo aver battuto pancia a terra la Sardegna, da solo e assieme a Berlusconi».
Sì, ma Re Mida è lui.
«Ovvio. Il successo personale di Berlusconi è innegabile».
Chi poteva dubitarne?
«Eh sì, ci ha abituato...».
Diavolo d’un Cavaliere.
«È uno di quegli uomini del quale in Usa dicono: think positive. Pensa positivo: questa la qualità maggiore. Il suo ottimismo, a prima vista talvolta irrazionale, alla fine contagia tutti e trova sbocchi positivi».
E ora, il giro ad Arcore.
«Assolutamente».
Sarà una festa, va allertato il cuoco.
«Menù rigorosamente sardo: malloreddos e porceddu».
Ha già sentito Berlusconi?
«Appena la vittoria è stata sicura. “Comunque noi vecchietti ce la caviamo sempre piuttosto bene”, gli ho detto...».
Non avrà gradito il «vecchietto».
«Ci conosciamo da tanti anni, la pensiamo allo stesso modo. Ci piace scherzare».
Come spiega il tonfo del Pd?
«Chi come me ha girato in lungo e largo la Sardegna s’è reso conto della contestazione massiccia nei confronti di Soru e del Pd. Ma le dimensioni della vittoria sorprendono».
Ha contato di più il trend nazionale o l’antipatia di Soru?
«Ha contato sia l’operato del governo, sia la delusione nei confronti del Pd. Gli elettori hanno condannato la disinvoltura di Soru nel volere un regolamento di conti interno attraverso le elezioni anticipate...».
Doveva sfidare Berlusconi anche in campo nazionale, come leader pidì.
«Una contrapposizione apparsa, in campo regionale, ancora meno plausibile che in quello nazionale».
Voleva portare guerra ad Arcore, Re Silvio gliel’ha fatta in casa propria.
«Il paradosso è stato che i leader del Pd venivano a parlare di un antiberlusconismo stantio, e Berlusconi ha portato fatti e risposte concrete».
Lo stesso non si può dire di Soru.
«Anche l’ostentazione di sardità non era attendibile: s’è dimostrato sardo più di panni che di sostanza. E il Pd ha sbagliato a dare peso nazionale alla sfida: ora ne subisce l’effetto boomerang».
Il boomerang ha colpito Veltroni. Nei suoi panni, che farebbe?
«Non glielo so dire. Ma di fronte alle avversità non si scappa, le si affronta a viso aperto».
Anche se sei circondato?
«Sì, ma a lui non c’è alternativa».
Logorarsi all’infinito non si può.
«Sembrerebbe suicida».
Che fare, nei panni di D’Alema?
«Ho un preciso ricordo, al riguardo: una drammatica riunione della Dc nel ’75, dopo una serie di sconfitte. Dal cappello del prestigiatore uscì fuori un signore di nome Zaccagnini, che segnò l’inizio della rinascita dc».
Aveva una buona squadra, ne faceva parte pure lei.
«Sicuro, ma il merito fu di Aldo Moro che seppe individuare la risorsa e convincere Fanfani a lasciare spontaneamente la segreteria».
D’Alema non è Moro.
«No. Con tutto il rispetto, non c’è uno che garantisca tutti come Moro. Però possono trovare una soluzione di transizione, se Veltroni va via».
Neppure il Pd è la Dc.
«Le due culture, cattolica e postcomunista, non si conciliano...».
Così restano indecisi a tutto. I cattolici dovrebbero stare con voi.
«Non sono d’accordo, il problema di un’apertura alle istanze del mondo laico esiste anche per noi, solo che le affrontiamo senza traumi, in maniera più pragmatica. Ma non bisogna dimenticare che noi abbiamo Berlusconi, una forza unificante».
Capace di tenere assieme lei e Lega.
«E nessuno mi ha impedito di dire ciò che penso, perché con questo approccio non hai bisogno neppure di scatenare polemiche...».
Basta senso della misura.
«Quella è la mia cultura: De Gasperi diceva di aspettare, perché verrà il momento nel quale le circostanze ti daranno ragione».
Così aspetta.


«Verrà il momento in cui affronteremo in maniera seria e organica i problema dell’immigrazione, della sicurezza e del federalismo».
Con i leghisti non avrà vita facile.
«Le osterie padane non mi fanno paura».
Si sente un po’ solo?
«Se uno ha fiducia nelle proprie idee, non resta mai solo. E se sono buone, alla fine si impongono».

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