La desolazione, il silenzio, la chiusura delle luminose stanze della Gypsotheca di Antonio Canova a Possagno hanno generato una così intensa malinconia da far rimpiangere i caldi giorni della viva estate in cui un goffo e sprovveduto turista austriaco ruppe le delicate dita del piede di Paolina Bonaparte. Benché varie volte restaurata, e anche nel punto della nuova ferita, la creazione di Canova è la sua più sensuale e seducente.
Grande fu il clamore per quel gesto screanzato e distratto del 31 luglio scorso che tutto il mondo vide attraverso la registrazione delle telecamere del circuito interno. Uno spettacolo ridicolo: un uomo grasso, in pantaloncini corti, con una maglietta verde acqua marina, scambia la scultura per un divanetto e si accomoda, mimando la posizione di Paolina. Senza eleganza e senza fascino, intendeva mettersi in posa in favore della moglie per una foto ricordo in quel santuario di bellezza. Meraviglioso è il momento in cui, scattata la foto, si alza dalla chaise longue stile impero, altrimenti detta agrippina, e torna a essere il turista rustico e ingenuo, che si accorge di aver fatto qualcosa di sbagliato: si guarda intorno e vede le dita frantumate, cerca di sistemarle e di non essere visto. Poi si allontana indifferente. Il breve filmato lo tradirà. Una volta identificato, con nome e cognome, grazie alle registrazioni dei visitatori, imposte, in quei giorni, dalle misure anti-Covid, si scuserà, ma la moglie che lo aveva accompagnato mi rivelerà anche la vergogna dell'imperdonabile marito e il dileggio dei vicini e dei conoscenti che nel video l'avevano riconosciuto, facendolo passare da carnefice a vittima. Arriverà a piangere per difendere l'onore del marito, considerato un irresponsabile, e dileggiato.
Ma il terribile errore riconosciuto, con un danno limitato a parti già ricostruite, ha fatto comunque parlare per giorni di Canova, e ha aumentato l'afflusso dei visitatori, attraverso il sacrificio del comunque colpevole turista imperdonabile e svagato. In verità le dita che hanno subìto il danneggiamento sono le stesse che erano state distrutte durante la Prima guerra mondiale e che, nel 2004, vennero ricostruite e reintegrate attraverso l'applicazione di nuove tecnologie, con una scansione 3D dall'opera in marmo - della quale il gesso di Possagno costituisce la matrice originale - conservata alla Galleria Borghese di Roma. Con questo stesso procedimento era stato possibile rifare la testa, la mano destra con un pezzo di braccio e le dita mancanti danneggiate dalla granata.
Dunque, atto riprovevole ma non fatale. Al punto che, dopo il danno apparente, l'intelligente sovrintendente Fabrizio Magani propose alla turbata ed esterrefatta direttrice Moira Mascotto di smontare tutti i costosi (e finti) restauri del 2004, integrativi e riproduttivi, e proporre Paolina nella sua nuda originalità. L'opera restituita alle sue condizioni frammentarie sarebbe stata certamente più vera e drammatica, più simile a un frammento di scultura classica o di Mitoraj che a un capolavoro di Canova. Ma, sulla legittimità della provocazione di Magani, sono inequivocabili le parole di Giordano Passarella, il restauratore del 2004: «Tre dita del piede, frutto del restauro del 2004 sono state staccate di netto, mentre le altre due risultano danneggiate. L'alluce risulta spezzato a metà. Risultano anche delle scalfitture, piccole lesioni nell'area circostante, sul materasso, sulla gamba, sul panneggio. Due lesioni, ma sono da verificare, attraversano la statua nella larghezza, all'altezza della tibia. Ad ogni modo andrà fatta una perizia per capire se queste lesioni fossero presenti prima del danno di venerdì scorso». Per precauzione ha aggiunto: «Ho pensato alle dita originali. Ho visto dei perni di consolidamento apposti dal conservatore Sirio Serafin nel dopoguerra. Si tratta di un tocco riconoscibile perché questo restauratore utilizzava le ossa di gallina per incollare le parti staccate. Ho pensato tecnicamente a come raccogliere i frammenti, così ho scattato una fotografia in pianta, dall'alto prima di toccare qualsiasi cosa». La conclusione dà ragione a Magani: «Bisognerà decidere se recuperare i frammenti e riassemblarli per poi rincollarli, oppure se ricostruire di sana pianta le dita con l'ausilio del file della scansione 3D che abbiamo ancora a disposizione».
Alla fine si ricomporrà l'immagine, facendo prevalere l'idea, che in Canova domina, e che è perfezione, ordine, armonia: l'opposto del frammento. Canova aveva inteso sottrarre al tempo e trasferire nel mito il corpo minuto di Paolina. Mostrandosi sensibile agli archetipi classici (dalla Danae di Correggio alla Venere di Giorgione e alla Venere di Tiziano) Canova portò a compimento l'opera nel 1808: e fu pagato da Camillo Borghese seimila scudi. L'opera fu destinata alla residenza di Camillo a Torino, città dove egli ricopriva la carica di Governatore Generale dei Dipartimenti transalpini; e suscitò molto scalpore per la nudità e la sensualità di Paolina. Le fonti non ci dicono con certezza se Paolina abbia posato nuda. La statua, trasportata al palazzo Borghese di Campo Marzio dopo la caduta di Napoleone, rimase esposta fino a quando, nel 1820, Camillo Borghese decise di smontarla e di chiuderla in una cassa. D'altronde, dopo il tramonto dell'era napoleonica l'opera appariva totalmente decontestualizzata, sia come immagine sia come simbolo: nell'esaltare la bellezza di Paolina, infatti, la scultura celebrava anche i Bonaparte, insensatamente dopo Waterloo.
La stessa Paolina, nel 1820, era afflitta da malattie e affanni, e non era più giovane: fu lei a chiedere la rimozione della statua, come si legge nella lettera del 22 gennaio 1818 al marito: «Camillo, vorrei pregarvi di farmi un piacere...
So che talvolta consentite a qualcuno di vedere la mia statua di marmo. Sarei lieta che questo non accadesse più, perché la nudità della scultura sfiora l'indecenza. È stata creata per il vostro piacere, ora non è più così, ed è giusto che rimanga nascosta agli sguardi altrui».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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