Parisi attacca Veltroni: «Mi preoccupa» Ma Rutelli lo sconfessa

Parisi attacca Veltroni: «Mi preoccupa» Ma Rutelli lo sconfessa

nostro inviato a Telese Terme (Benevento)

Nell’ombelico postdemocristiano che improvvisamente emerge dalle acque sulfuree di Telese, ribolle di tutto e di più. Giunge Arturo Parisi e lancia mattonate contro Walter Veltroni senza risparmiare Francesco Rutelli, il quale arriva più tardi e rintuzza gli attacchi del sodale di partito giurando fedeltà a Veltroni. Poi è la volta di Savino Pezzotta e Lorenzo Cesa, che promettono un «patto d’acciaio» con Clemente Mastella per far risorgere il solito e mitico Grande Centro, contro il referendum elettorale e per andare insieme alle europee. Sempre che non arrivi prima la crisi di governo, provocata dal rifiuto dei grandi partiti a dir di sì al sistema elettorale tedesco. Il segretario dell’Udc ha infatti esortato: «Se non cambiano le regole, caro Clemente, non penso che voi possiate restare alleati coi comunisti, e noi coi neofascisti». E il cugino dell’Udeur gli è subito corso al fianco, ribadendo che pur di fermare il referendum è disposto a far cadere il governo, «di fare il ministro della Giustizia non me ne frega niente». Una gran giornata postdemocristiana, quella di ieri alla Festa del Campanile. A sera è comparsa pure Rosy Bindi, concorrente di Veltroni nella corsa al timone del Partito democratico, che ovviamente s’è schierata: «Ha ragione Parisi».
Pesantissima, la stoccata di Parisi. Il ministro della Difesa, ospite mattutino, era qui per parlare della sua materia, ma l’intervista di Veltroni sul Corrierone gravava come un macigno, specie nel passo dove il sindaco di Roma garantisce di non voler fare le scarpe a Romano Prodi perché «a Palazzo Chigi ci si arriva soltanto col voto popolare». Parisi ha fulminato: «Mi sorprende, ma per alcuni versi mi preoccupa, che Veltroni abbia sentito il bisogno di dirlo. È nelle cose, nella parte scritta e non scritta del nostro ordinamento, che a Palazzo Chigi si va sulla base di un voto popolare». Che condivida i sospetti di quanti non escludono una scorciatoia veltroniana che passi per elezioni anticipate? Di più il ministro non ha detto, passando invece alla critica «politica» dello schieramento messo insieme da Veltroni per conquistare il Pd, che vede «tutto e il contrario di tutto, dai gauchistes al nitido neocentrismo di Rutelli», invitando il candidato a scegliere.
Nel pomeriggio, al dibattito sul futuro dei cattolici in politica, Rutelli è stato invitato a rispondere. Lui avrebbe fatto una scelta neocentrista, che pure «non è una parolaccia» secondo Parisi? «Non rispondo a piccole schermaglie quotidiane», ha dapprima eluso il vicepremier, per poi annunciare che sì, «appoggio Veltroni», con Walter «c’è una sintonia e un appoggio convinto». Le liste dei coraggiosi? «La decisione sarà presa entro un paio di settimane», ha risposto Rutelli.
Poco prima intanto, nel giardino del Grand Hotel, i giovani dell’Udc e dell’Udeur avevano tenuto una conferenza stampa coi rispettivi leader, invitandoli alla lista comune per le europee. Scontato il sì convinto e commosso di Mastella e Cesa, mentre Pezzotta dal fondo applaudiva commentando: «Non capisco perché si debba parlare con la puzza al naso della Dc, quando i comunisti sono al governo». Nel successivo dibattito alle Terme, la voglia di Scudocrociato è esplosa incontenibile, con Pezzotta a esortare di «fare in modo che il Family day diventi un progetto politico», Francesco Borgomeo a tuonare contro «i comunisti che scendono in piazza», Nuccio Cusumano che pressava: «Noi vogliamo che Pezzotta si misuri con noi». Con noi, cioè Mastella e Cesa. Quest’ultimo confida infine che Rutelli gli garantisca l’appoggio alla riforma elettorale in salsa tedesca, «appena sarà chiuso il voto nel Pd». Per questo, dal palco, fissa la scadenza a ottobre, altrimenti «caro Clemente...».

E Clemente è d’accordo, «possiamo arrivare alle estreme conseguenze, anche rompendo gli equilibri politici» per fermare il referendum, rivendica Mastella spiegando che «sul modello tedesco ci siamo noi, l’Udc, la Lega e Rifondazione, c’è una vasta maggioranza: se non si fa vuol dire che qualcuno non vuole».

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