Partiti di massa ostaggio di alleanze contro natura

C’è un errore di fondo nella politica italiana che non consente ancora al Paese di uscire dal lungo periodo di transizione. Sono ormai trascorsi 14 anni, due terzi «dell’era fascista» da quando l’Italia ha smarrito l’antica stabilità politica che ancora oggi caratterizza le grandi democrazie europee. E la colpa è di quell’errore diffuso che quasi nessuno è disponibile a riconoscere. A sinistra, al centro e a destra. L’errore sta nel fatto che tutti esauriscono le proprie energie contro il governo in carica senza mettere mano mai al riassetto dell’intero sistema politico italiano.
Ieri si marciava a testa bassa contro il governo Berlusconi, qualunque cosa facesse, oggi si spera che la mattina dopo il governo Prodi caschi vittima delle sue oggettive contraddizioni. Berlusconi durò cinque anni e Prodi si avvia a fare altrettanto. Entrambi non avevano alle spalle il 51 per cento del voto degli elettori. E nel frattempo tutto sembra drammaticamente uguale al giorno prima. Un’Italia spaccata in due, uno scontro all’ultimo sangue su tutto e un sistema politico fatto da oltre 20 partiti. Molti pensano che la responsabilità di questa situazione sia dei piccoli partiti. È vero il contrario. Sono i più grandi partiti che non riescono ad essere partiti di massa, e questa loro difficoltà alimenta la frantumazione. Il centrosinistra tenta di rispondere a questo grande problema con la costituzione del Partito democratico. I precongressi dei Ds hanno dimostrato che almeno un quarto dei suoi iscritti non lo vuole o, se deve essere, deve chiamarsi «Democratico e socialista». Una linea in rotta di collisione con la Margherita, che mai consentirà che il nuovo partito entri nel Partito socialista europeo e nell’Internazionale socialista. Per cui delle due l’una: o saremo l’unico Paese senza un grande Partito socialista, o Marini, Bindi, Franceschini e tutti gli altri ex democristiani finiranno per essere «indipendenti» dentro un Partito socialista, secondo una tradizione cara al vecchio Partito comunista (la famosa sinistra indipendente). Entrambi i partiti, insomma, remano contro natura e il processo costituente finirà per fare altri morti e feriti, con tutto quel che ne consegue sulla stabilità politica del Paese.
Sull’altro versante un errore uguale e contrario. Non si capisce, infatti, perché Forza Italia otto anni fa brigò per entrare nel Partito popolare europeo ed oggi, invece di lanciare l’idea di una ricomposizione centrista sulla linea dei grandi partiti democristiani e popolari europei, cincischia con l’ipotesi del partito unico. Il gruppo dirigente di Forza Italia sembra non accorgersi che questo progetto di partito unico con Alleanza nazionale, anch’esso contro natura, sposta Berlusconi sulla destra e non Fini verso il centro. Insomma, un’ulteriore radicalizzazione dello scontro politico. Il risultato è la guerra ai materassi e la criminalizzazione dell’avversario politico, spingendo gli italiani a stare ogni giorno con l’elmetto in testa. E a soffrirne è la stabilità politica del Paese. E anche Pier Ferdinando Casini cade in un errore simile. Combattendo, a nostro giudizio, una giusta battaglia contro questo bipolarismo urlato e confuso, Casini da un lato non vuole, analogamente a Berlusconi, una riunificazione dei partiti che si riconoscono nel Ppe e dall’altro lato chiede a Mastella di dimettersi da ministro come condizione prima per avviare un tavolo per la ricomposizione di un’area centrista. Confonde cioè le alleanze di oggi, che come tutte le alleanze politiche sono contingenti e transitorie, con un processo politico che non può non avere uno sguardo più lungo, e quindi distante dai problemi del governo in carica. La conclusione è che i gruppi dirigenti del Paese sembrano non avere una idea precisa su come aiutare il riassetto del sistema politico italiano, favorendo vocazioni «naturali» dei rispettivi elettorati e smettendo di remare contro natura.

Molti di essi sembrano dimenticare che i grandi partiti di massa sono figli della politica e della cultura, e non certo dei premi di maggioranza dei vari sistemi elettorali. È questo il motivo per cui la debolezza numerica e le oggettive contraddizioni politiche del governo Prodi diventano, nei fatti, la sua maggiore forza. Accorgersene e provvedere non è mai troppo tardi.

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