IL PARTITO DELL'APPENNINO

Se questa è una vittoria, beh, anche Caporetto allora dev’essere rivalutata. Abbiamo passato una notte e un giorno ad ascoltare le grida di giubilo degli esponenti Pd, che festeggiavano con sbronze di parole quel -7 per cento ottenuto alle europee rispetto alle politiche di un anno fa (contenti loro), ed eravamo lì ammirati dalla loro superproduzione di faccia tosta con cui in tutti i talk show trasformavano impunemente una sconfitta reale in una vittoria virtuale, quando all’improvviso sono arrivati i primi dati delle amministrative, che nella loro cruda concretezza, hanno riportato tutti con i piedi per terra. Anzi, per quanto riguarda il Pd, anche un po’ sottoterra.

Si votava in 62 province italiane. Il centrosinistra governava in 50: di queste è sicuro di conservarne solo 14. Al contrario il centrodestra governava in 9 province e da oggi è già sicuro di averne 26. Lo spieghiamo in altre parole così magari capiscono anche Franceschini e la Melandri: il centrodestra di sicuro strappa 17 province al centrosinistra, il centrosinistra di sicuro non strappa nemmeno una provincia al centrodestra. Il dato è già certo: 17 a zero, prendi e porta a casa. Tu chiamale, se vuoi, elezioni: lo descrivono come un loro trionfo. Ma per essere un trionfo, assomiglia molto a una batosta, non vi pare?

Qualcuno dirà che le Province sono da abolire, non da votare. Siamo d’accordo. Sono enti piuttosto inutili. Ma finché ci sono e chiamano ai seggi, tocca considerarle. E se non altro oggi un’utilità ce l’hanno: ci costringono a contare i voti anziché i sogni, a confrontare le schede elettorali al posto delle speranze preelettorali. La dura materia dell’urna contro lo sfavillante e sfuggente mondo delle percentuali da comizio. I dati, in effetti, dimostrano quello che era evidente fin da ieri ma che pochi vi hanno raccontato: altro che Pd che tiene. Il Pd crolla. Era già chiaro dal risultato delle europee: solo che molti a sinistra hanno fatto finta di non vederlo. E gli altri non l’hanno visto proprio perché stavano tirando un sospiro di sollievo dopo aver avuto paura di scomparire del tutto.

Il centrodestra invece ha tenuto alle europee ed è cresciuto nelle amministrative. Guardate i numeri: praticamente conquista al primo turno quasi tutto il Nord, a parte Milano che comunque va al ballottaggio con Guido Podestà in testa. In Lombardia strappa al centrosinistra Lecco, Lodi, Cremona, vince subito nella nuova provincia della Brianza e si conferma a Bergamo, Brescia e Sondrio. Nel Nord Est si tiene Pordenone, Padova e Verona ed è in testa nelle altre tre province, già roccheforti del Pd (Belluno, Rovigo e Venezia). Nel Nord Ovest espugna Biella, Novara, il Verbano-Cusio-Ossola, si conferma a Cuneo, va al ballottaggio a Torino e Alessandria. In pratica il centrosinistra rischia di essere spazzato via da tutte le province settentrionali, in tutte le zone cioè più produttive del Paese. Ma anche al Sud alcuni risultati sono sorprendenti. Passano di mano le tre province della Campania, il centrodestra espugna anche Bari e la new entry Barletta, solo per restare ai casi più evidenti. Di fatto al centrosinistra non resta che la ridotta dell’Appennino: Toscana ed Emilia, con tante sorprese anche lì. Piacenza è stata conquistata dal centrodestra al primo turno; Ferrara, la provincia di Franceschini, va inaspettatamente al ballottaggio, come anche Rimini, Parma, Prato e Arezzo. Persino il Comune di Firenze dove è sceso in campo il virgulto d’oro Matteo Renzi, l’Obama bianco, la nuova speranza democratica, ebbene anche lì il risultato è stato (a detta dello stesso candidato del centrosinistra) «deludente». Il portierone Giovanni Galli costringerà il Barack dell’Arno a scendere in campo per il secondo turno: in fondo si sa, Renzi è bravo nelle parate. Ma Galli ancor di più.

Il Pd dovrebbe tenersi per un pelo Bologna, causa divisioni nel centrodestra, ma la sua débâcle alle amministrative nel complesso è clamorosa. E si tratta di un fatto politico nuovo e rilevante. Da sempre, infatti, quando si va a votare per comuni e province il centrosinistra fa man bassa di preferenze. Ora invece smobilita, perde, si ritira. Un risultato storico che smonta, di colpo, due miti: quello del centrodestra incapace di radicarsi sul territorio e creare una classe politica locale. E quello del centrosinistra che gode i frutti di una lunga tradizione di buona amministrazione. Evidentemente non è così. Evidentemente la buona amministrazione del centrosinistra è materiale buono per le chiacchiere malinconiche di D’Alema e Veltroni alla panchina dei giardini pubblici. Tanto è vero che nessuna delle province finora amministrate dal centrodestra cambierà di mano, mentre delle 50 del centrosinistra ce ne sono 34 o già passate al centrodestra o in bilico. Evidentemente gli elettori non hanno avuto modo di apprezzare una buona amministrazione...

Ma il divertimento maggiore, osservando questi dati, è immaginare come reagirà il centrosinistra. Soprattutto immaginare come farà a spacciare ancora questa tornata elettorale per una vittoria. Un po’ di fantasia e già si possono pregustare le dichiarazioni illuminate del leggenDario Franceschini, i volteggi della ballerina di Malindi, al secolo Giovanna Melandri; già si possono assaporare i titoli dell’Unità, le arrampicate sugli specchi di Concita De Gregorio, il ribaltamento della realtà sulla prima pagina di Repubblica. È vero che, come si suol dire, essendo buoni a nulla sono capaci di tutto, ma ci vorrà davvero un bel coraggio per vendere un 17 a zero come una sostanziale vittoria. Ci vorrà un bel coraggio per spacciare la propria estinzione dal Nord come una buona affermazione.

Ci vorrà un bel coraggio per cercare di trasformare un voto che li ha ridotti a un partito locale dell’Appennino in un’iniezione di fiducia e di speranza. Ci vuole un bel coraggio, ma se riescono anche in quest’impresa, bisogna inchinarsi e proporli per una nomination all’Oscar. Migliori attori comici non (più) protagonisti.

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