Il patriottismo traballante di una certa destra

Non solo i leghisti. Anche a Sud c’è chi rimpiange gli Stati pre-unitari, rinnegando Risorgimento e liberalismo

Il patriottismo traballante  
di una certa destra

Giovedì scorso, in un lungo articolo di Marcello Veneziani ha spiegato perché il tema del patriottismo, in questo periodo molto abusato a sinistra, sia in realtà estraneo a quella cultura politica. Il giorno seguente, è intervenuto Dino Cofrancesco, mettendo l’accento sul Risorgimento come fondamento del nostro Paese (nello strappo qui accanto, il titolo del pezzo). Con risultati disastrosi. Oggi interviene Mario Cervi.

Ho letto con doverosa attenzione i due arti­coli che Marcello Ve­neziani e Dino Co­francesco hanno dedicato al con­cetto di Patria, e alla spregiudica­tezza con cui la sinistra attuale vuole impadronirsene. Condivi­do al cento per cento, in proposi­to, le osservazioni di entrambi. Ma più che i consensi mi pare meritino d’essere sottolineati, da parte mia, i dissensi o le perplessi­tà. Ho avuto l’impressione - ma forse sbaglio - che Veneziani ab­bia di proposito insistito sull’esi­stenza d’una idea e d’un ideale di Patria al di là e al disopra di quel­­l’entità che si chiama Stato italia­no. La visuale di Veneziani antepo­ne allo Stato la Nazione. Non è la Costituzione, scrive, che fa del­l’Italia un Paese. «Non sono le leg­­gi a fare l’Italia e gli italiani, ma è la vita, la cultura, la lingua e la storia di un popolo, e la percezione di sentirsi, pur nelle diversità, un po­polo ». E Cofrancesco in sostanza assente: «Prima dell’Unità non c’era il deserto dei tartari». Tutto vero. Eppure si annida in quelle diagnosi assolutamente ra­gionevoli un pericolo: il pericolo cioè che ne sia sminuito il Risorgi­mento, ridotto a episodio di pochi anni in una vicenda millenaria, e che di conseguenza ne sia sminui­ta l’Unità. Che non è molto in au­ge, mi sembra, oggi come oggi. Non sono ottuso al punto di nega­­re che l’Italia, sia quando era la se­de d’un possente impero, sia quando era«la terra dei morti»,ab­bia conosciuto splendori e mise­rie che avevano scarsa attinenza con il suo essere Stato. Ma il dram­ma dell’Italia attuale - uno dei drammi, se preferite- sta nella sua propensione a rinnegare il mo­mento fondante dello Stato senza davvero volersi ancorare ai valori sociali e culturali da Veneziani evocati. Si può essere patrioti di una entità multiforme e frammen­tata? Si può essere patrioti senza credere davvero nella Patria? Non vorrei essere frainteso. Ve­neziani e Cofrancesco hanno so­stenuto tesi accettabili. Ma quan­do Veneziani celebra i meriti del­­l’Italia - o delle Italie? - preunita­ria prescindendo dal suo essere o non essere Stato, secondo me ha ragione e torto nello stesso tem­po. Quel passato merita grande ri­spetto. Ma di per sé non genera pa­­triottismo. Gli Stati Uniti sono qua­si privi nella loro storia- così breve in confronto a quella di noi euro­pei - del substrato di pensiero e di fatti che forma l’identità italiana. Le loro tradizioni autentiche, i lo­ro maestri spirituali, religiosi, arti­stici erano altrove - paradossaliz­zo un po’, ma lo faccio per essere chiaro- erano migliaia di chilome­tri lontano. Nonostante questo, o forse proprio per questo, i cittadi­ni Usa sentono fortissimamente il legame con le loro leggi, con la lo­ro Costituzione, con i padri fonda­tori non solo d’una collettività ma d’uno Stato. Nel Paese che ha, o sembra avere, radici più brevi o più tenui, il patriottismo è sentito con grande vigore, e gli internazio­nalismi hanno minore presa. Il neopatriottismo di sinistra ha mandato in archivio slogan retori­ci come quello della Resistenza tradita (tutto è dichiarato tradito in Italia: per la sinistra la Resisten­za, per i nazionalisti la vittoria nel­la Grande Guerra). Queste frustra­zioni incubano raramente qualco­sa di buono. Ma, per tornare alla Patria, devo dire che la vedo sì insi­diata dagli usurpatori, dallo zelo improvviso di chi vuole difendere a spada tratta la Costituzione e i co­stituenti, un tempo vituperati. Ma la vedo egualmente o ancor più in­sidiata dall’affermarsi ed esten­dersi, all’interno dello schiera­mento «moderato», di due oppo­ste e coincidenti pulsioni antiita­liane. La Patria è un fastidio per i le­ghisti militanti che cercano sim­boli e rituali in una Padania abba­stanza fantasiosa, in prati magici, in ampolle purificatrici. La Patria è egualmente un fasti­dio per i­nostalgici dell’Italia preri­sorgimentale, impegnati a tesse­re le lodi del Regno del Sud e ad esaltare, in opposizione al liberali­smo, il Sillabo di Pio IX. La sinistra si distinse un tempo per un suo particolare patriottismo di carat­tere ideologico, amava l’Urss, amava Stalin buon padre dei po­poli, non amava l’Italia.

Adesso la negazione dell’Italia viene da due fronti, il negativismo antirisorgi­mentale imperversa sia nelle valli bergamasche sia nelle terre che fu­rono dei Borboni. Il patriottismo non è morto, ma non è nemmeno in buona salute.  

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