La paura dell’invasione

Venezia I cinesi peggio dell’acqua alta a Venezia. «Ci vorrebbe un Mose studiato apposta per arginarli», ha detto al Corriere del Veneto un signore che si aggirava tra i banchi del mercato del pesce di Chioggia, una sorta di monumento al commercio ittico del Veneto. Razzismo? Qui preferiscono chiamarla tradizione, visto che i «mognoli», come si chiamano in dialetto veneziano i dettaglianti del pesce, sono chioggiotti da generazioni. O meglio, erano chioggiotti, perché l’amata tradizione è stata frantumata a colpi di bigliettoni. Quarantamila euro sull’unghia, pare, sono bastati a un imprenditore cinese per acquistare uno di questi banchi dove occorre avere una certa dimestichezza col dialetto veneto per capire che tipo di pesce si sta per comprare e vendere.
Sarà uno spettacolo, questo è sicuro, sentire il nuovo arrivato cinese ruminare la «erre» in «elle», visto che già per conto loro i veneziani trattano malissimo questa consonante, con un accento inconfondibile. Il punto è che se c’è un cinese che compra ci deve essere un chioggiotto che vende. E infatti tutti i commercianti del posto non parlano benissimo del collega che ha «tradito». «D’altra parte non si può negare che abbia fatto un buon affare - conviene un collega “arrabbiato” - visto che di solito un banco al mercato vale 10, massimo 15 mila euro. Non me la sento di accusarlo».
«Io invece no - sbotta un altro - non venderò mai ai cinesi». Sarà, ma il rischio è che l’imprenditoria del Dragone si estenda a macchia d’olio a colpi di offerte che non si possono rifiutare. E, una volta che avranno il mercato in mano, saranno loro a fare i prezzi, a dettare le regole, a “scacciare” i chioggiotti dal tempio.
È la globalizzazione, bellezza. Globalizzazione un cavolo, sbotta Paola Camuffo, presidente del consorzio «Pescaria de Cioxa», che si aggrappa alla difesa della tradizione per porre un freno a questa temutissima invasione. E visto che di tradizione si parla, l’idea della Camuffo è quella di utilizzare gli strumenti di sbarramento adottati dai gondolieri di Venezia, che in fatto di tradizione hanno una discreta esperienza. «Facciamo come loro - propone - e studiamo un sistema per imporre una ristretta selezione per scavalcare la normativa regionale sul commercio».
Facile, e magari suggestivo, a dirsi, molto più complicato a farsi. Cosa diavolo c’entra la tradizione con l’acquisto di un chilo di cozze al mercato di Chioggia? Lo riconosce pure il governatore del Veneto, Luca Zaia, che certo non può essere iscritto al club dei fan di Pechino. «L’acquisto di un banco al mercato del pesce di Chioggia da parte di un cinese - ammette - è un segno dei tempi». Salvo poi aggiungere, per far capire da che parte sta: «Sicuramente non è un bel segno».
Già, e quindi cosa farà il “doge” per non gettare a mare la tradizione senza nel contempo spezzare le regole del commercio? «La Regione Veneto - risponde - continuerà a lavorare perché i banchi del pesce e tutte le attività rispettino l’identità di origine. E questo perché immagino che quando un veneto va a comprare un branzino, piuttosto che un polpo, voglia sentire l’idioma locale. Il prodotto tipico in Veneto si vende in questa e non in altre maniere».


Traduzione: saranno i clienti veneti, quindi il mercato, a decidere se il nuovo commerciante cinese sarà anche l’ultimo o se invece sarà il primo di una lunga serie. Magari la «elle» al posto della «erre» darà un po’ di fastidio, ma alla fine saranno i cartellini dei prezzi e la qualità del pescato a decidere la partita.

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