Il Pd in crisi ora si aggrappa al senatore nero

Si ripete il solito copione: dopo aver osannato Clinton, Ségolène, Zapatero, Kerry e persino Jospin i democratici sperano in Obama alla Casa Bianca. Manifestazioni fino all’alba in tutta Italia per cavalcare il possibile successo

Il Pd in crisi ora si aggrappa al senatore nero

Non gli è bastato il «partito fratello» dell’Unione Sovietica? Sempre orfana di qualcosa o qualcuno, la nostrana sinistra s’è ora aggrappata al «grande fratello» americano, il democrat Barack Obama che dovrebbe trascinare alla vittoria anche i democratici di Wall-e Veltroni. Presi da febbre e furia, han scatenato un vortice di veglie e di feste in tutta Italia a partire da Roma per stasera, che se per sbaglio vince McCain con la Palin crolla il mondo, dovranno gettarsi nel Tevere con una pietra legata al collo e cantando er barcarolo va, controcorente. Con gran sprezzo del ridicolo e del grottesco, perché invero rischiano di finir peggio se vince Obama, come assicurano gli osservatori nostrani. Pensateci un attimo, se almeno voi riuscite ancora a farlo. Quello in America vince, questi a Roma fan bisboccia sino all’alba, e domani che succede? Incassano anch’essi la vittoria vendicando la sconfitta d’aprile, e okkupano Palazzo Chigi? E secondo voi che farà, il neopresidente degli Stati Uniti, risponderà alla telefonata del presidente del Consiglio in carica - magari accennando all’Irak, l’Afghanistan, la crisi mondiale - o andrà a cercare il capo dell’opposizione per ringraziarlo del contributo decisivo e spartir con lui il successo, oggi a me domani certamente a te?
Quanta pena stasera... (sempre dal Barcarolo romano), al Tempio di Adriano l’intero Stato maggiore del Pd dà appuntamento per «la notte della grande scelta», a Bologna hanno organizzato un Democratic Party per Obama con schermo gigante, idem a Firenze, in Veneto il consigliere democrat Causin ha aperto un «quartier generale virtuale» sul Facebook con apposito gruppo di discussione sul tema «Aspettando Obama in Veneto». A Roma poi, è da una settimana che organizzano manifestazioni per il candidato del partito fratello, dall’Ara Pacis con Zingaretti e Cuperlo all’Ambra Jovinelli, mitico tempio dell’avanspettacolo, dove un candido Rutelli se ne è uscito dichiarando che «se si votasse in ogni parte del mondo, dal Giappone all’India, dall’Africa al Brasile all’Italia, sono sicuro che i cittadini sceglierebbero Obama». Qualcuno può dirgli che se alle nostre elezioni votassero i paesi dell’Est, asiatici e africani, di lui e di Veltroni non si sentirebbe mai più parlare, vincerebbe sempre Berlusconi o il Papa?
Altro che provincialismo, è come se alla morte di Ottaviano Augusto imperatore, nella lontanissima Bitinia un Ben Uolter, nemmeno cittadino romano, si fosse messo a far tifo per Tiberio: il quale, potete giurarci, sapeva a stento ove fosse, quella sperduta provincia. Del resto è comprovato: Veltroni non è ancora riuscito a farsi fare una foto, con Obama. Ha comprato casa a Manhattan, ad agosto ha mandato a Denver una folta delegazione del Pd perché si facesse notare alla Convenzione che lanciava Obama, dieci giorni fa ha spedito la Melandri per far volantinaggio a Philadelphia, ma niente da fare: Obama ha altro e altri a cui pensare.
Ma Wall-e è ugualmente convinto che Obama è il suo candidato, un cavallo della sua scuderia, e irride alla concorrenza, «come al solito si salta sul carro del vincitore» ha detto ieri sprezzante con gli obamiani dell’ultim’ora: «Me li ricordo tutti, me li sono segnati». Vuoi vedere che quando anche lui salirà alla Casa Bianca, sotto braccio a Barack, dirà ai marines di non fare entrare Berlusconi? La rana e il bue di Fedro non hanno insegnato niente, alla nostrana opposizione. E non dimenticate Di Pietro, che per mezzogiorno ha convocato una conferenza stampa dove lui e i suoi di Idv «annunceranno e suggeriranno alcuni indirizzi programmatici» a beneficio del vincitore della corsa americana. Povero imperatore del mondo (Barack 1° o John 4° poco importa), come farebbe senza Veltroni e Di Pietro? Sfortunato chi sogna e chi spera (ancora dal Barcarolo), la sindrome del partito fratello s’è fatta devastante a sinistra, dopo la caduta dell’Urss e dell’Ulivo mondiale. S’innamorano sempre, anche di meteore. Freschissima e bruciante la ola per Ségolène Royal, come entusiasmante la movida per Zapatero ormai anch’egli dimenticato.

E quando s’erano infatuati dei socialisti francesi, D’Alema che chiamava Salvi «il Jospin de noantri»? E poi Blair, Clinton, Kennedy che pure aveva portato la guerra in Vietnam. Chissà se la Melandri ricorda ancora la faccia di John Kerry. E Hillary, la moglie che perdona, i nostri non la preferivano a Obama? Fiume affatato fammela trova’...

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica