A Franceschini il partito è sfuggito di mano. Siamo già al dopo-voto quando la battaglia per decidere il destino del Pd e la sua leadership conoscerà il suo culmine. Forse il fragile leader del Pd aveva sperato in una tregua più lunga, in un «serrate le file» per racimolare qualche suffragio in più alle europee e alle amministrative. Niente da fare. Il paradosso è che nessuno sembra più interessato a discutere il dopo-Franceschini. Bersani si affanna a girare l’Italia per prepararsi alle primarie. Anna Finocchiaro fa sapere di essere pronta per concorrere alla segreteria. Enrico Letta sta decidendo cosa farà da grande. I quarantenni non vogliono più essere diretti da D’Alema, Fassino e Rutelli. Inutilmente. Il tema non è più questo. La domanda è un’altra: ci sarà un partito dopo il voto di giugno? Una generale crisi di nervi sembra squassare il Pd con una intensità che ricorda gli ultimi mesi di Veltroni.
Il cronista della guerra intestina al Pd rischia di perdersi fra i proclami dei vari contendenti. Ci sono tre candidati sindaci, Del Bono a Bologna, Renzi a Firenze e Zanonato a Padova, che non vogliono farsi ritrarre assieme al simbolo del Pd. Il partito li zavorra e fingono di correre da soli. L’immigrazione, un tempo tema unificante del Pd, ha visto fiorire posizioni diverse e radicalmente contrapposte. Sergio Chiamparino, sindaco di Torino impegnato in una dura contesa con Rifondazione comunista, è stato accusato da Antonello Soro, capogruppo alla Camera, di slealtà verso la segreteria del partito perché ha dichiarato di essere favorevole ai respingimenti in mare degli immigrati. Chiamparino ha risposto per le rime ricordando che la segreteria del partito, di cui fa parte, non si riunisce più da tempo. Per difendere Chiamparino contro la segreteria sono scesi in campo Filippo Penati, presidente della Provincia di Milano ed Enrico Letta.
Appena una settimana fa a Franceschini, sostenuto solo da Livia Turco e Rosy Bindi, che aveva parlato di leggi razziste, avevano risposto a Fassino e Rutelli anch’essi favorevoli ai respingimenti e alla politica di severità verso l’immigrazione clandestina. Una vera Babele.
Anche il referendum sta creando ulteriori tensioni. Il «sì» di Franceschini non convince buona parte del partito e persino il mite vice-presidente del Senato, Vannino Chiti, ha chiesto al segretario di rivedere la sua posizione mentre il guru di Veltroni, il sen. Tonini, si è fatto acceso portavoce dello schieramento referendario.
A Roma il post-veltronismo ha inaugurato la stagione dei lunghi coltelli. Per il consiglio di amministrazione dell’Acea si sono scontrati gli ex popolari, che candidavano il direttore dell’Anci Angelo Rughetti, e i dalemiani, che sostenevano il tesoriere della Fondazione Italianieuropei, Peruzy. Hanno vinto i dalemiani provocando lo sdegno degli ex popolari che ora chiedono la testa del dalemiano Marroni capogruppo del Pd in consiglio comunale. L’ex uomo forte della segreteria Veltroni, Goffredo Bettini, si è schierato con i popolari contro D’Alema. La «questione romana» ha investito, con un anno di anticipo, anche il presidente della regione Marrazzo che il segretario regionale del Pd Morassut si è affrettato a sfiduciare anzitempo sollevando un putiferio.
Il malessere investe ogni piega del Pd. A Napoli i bassoliniani, decimati nelle liste elettorali, non sanno per chi votare e il candidato alla provincia Nicolais comincia a temere di non farcela. Più rumoroso lo scontro a Firenze. Qui siamo a un passo dalla crisi irreversibile. L’ex popolare Lapo Pistelli, pupillo di Veltroni che l’avrebbe voluto sindaco, ha dichiarato di non votare per Leonardo Domenici, candidato alle europee, provocando lo sdegno dell’attuale sindaco di Firenze che per alcune ore ha pensato di ritirare la propria candidatura. Nel Nord Est non si è sopita la protesta, capeggiata da Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, contro la candidatura «romana» di Luigi Berlinguer. Altrettanto sta accadendo nel Nord Ovest dove non trova migliore fortuna quel Sergio Cofferati catapultato alla guida della lista europea.
Il Pd si sta, quindi, avvicinando al voto europeo nel marasma totale. Se gli ultimi mesi di Veltroni furono caratterizzati dalla rivolta dei grandi vecchi contro il partito leggero e personale dell’ex sindaco di Roma, queste ultime settimane di Franceschini sembrano l’avvio della guerra di tutti contro tutti. D’Alema sembra tirare le fila di una radicale correzione di rotta per il Pd, proponendo un partito più pesante e più socialista, mentre l’area attorno a Rutelli sembra nuovamente affascinata dalle sirene del «grande centro» guidato da Luca di Montezemolo. Il paradosso è che nessuno vuol dichiarare conclusa la breve e sfortunata vita del Pd ma tutti aspettano il cedimento strutturale.
Per quasi un anno il Pd è stato il campo di battaglia di eserciti contrapposti. Ora gli eserciti si sono ritirati nei propri accampamenti affidandosi ad azioni di guerriglia. Qualcuno avvisi Franceschini che è rimasto solo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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