Pensione a 65 anni Per le donne sarà un affare

L’Italia è stata invitata in modo perentorio dalla Commissione europea ad adeguare immediatamente l’età pensionabile delle donne nel pubblico impiego ai 65 anni degli uomini, mentre la legge, stabilita nel 2009, lo fa in 8 anni. La Commissione dice che non è stabilito da nessuna parte che il principio di eguaglianza debba applicarsi con criteri dilazionati nel tempo. Si tratta di una regola che va attuata subito. È ciò che il direttore di questo giornale sostiene da tempo e che servirebbe a realizzare una piena equiparazione delle donne agli uomini, come avviene in effetti in Germania, Francia e Regno Unito, ove per entrambi i sessi la pensione è già a 65 anni e si prevedono innalzamenti futuri obbligatori e facoltativi. Nel pubblico impiego ci sono attualmente 3,8 milioni di persone e di essi la metà sono donne. Le pensioni erogate dall’Inpdap, che è l’istituto previdenziale del pubblico impiego, sono già 2,6 milioni, di cui la metà a donne. Come si vede il rapporto fra pensionati e dipendenti è assurdo: su 5 lavoratori ci sono quasi tre pensionati. Lo squilibrio dipende dall’abuso delle pensioni baby, che nuoce, poi, in termini di trattamento pensionistico alle donne medesime, dato che esse di media hanno pensioni considerevolmente più basse di quelle degli uomini. In parte ciò dipende dal fatto che tradizionalmente le donne occupano qualifiche più basse, ma questa sperequazione si sta ora riducendo considerevolmente. Ovviamente con l’aumento dell’età di pensione delle donne, esse lavoreranno più anni, con una retribuzione che è maggiore della pensione che, diversamente, percepirebbero. E quando andranno in pensione il loro trattamento sarà migliore. Quando la Commissione europea chiede che le donne vadano in pensione alla stessa età degli uomini e dichiara che sarà costretta a condannare l’Italia se non si adeguerà a questo principio, si basa su un criterio di non discriminazione a favore delle donne, fa una battaglia a loro favore, non contro di loro.
Ed è questa la battaglia che fa Il Giornale. Non si tratta di macelleria sociale, ma di mettere in guardia le donne contro la trappola in cui ora sono e che apparentemente le avvantaggia, mentre in realtà le danneggia. Esse nell’immaginario familistico in loro stesse instillato, dovrebbero andare a casa prima del marito, quando ancora possono lavorare, allo scopo di attendere ai lavori domestici per la propria famiglia ed eventualmente per quella dei figli. E con questo proprio sacrificio consentirebbero agli altri di fare una vita più comoda. Ma se nel primo anno di pensione esse possono trovarsi bene, dopo cominciano a dispiacersi di questa situazioni che le ha private degli scatti di carriera che avrebbero potuto ottenere, lasciando così spazio alla carriera degli uomini. Inoltre questa situazione ha comportato per loro una diminuzione di reddito che si fa sentire sempre più nel tempo e che le mette in condizione di inferiorità. E la pensione è esigua e non cresce.
Dunque le donne hanno tutto da guadagnare, dalla soluzione che la Commissione europea impone al nostro governo e che molti ministri avrebbero voluto adottare spontaneamente. Ci guadagna molto la nostra finanza pubblica e la credibilità del nostro debito pubblico. Nell’immediato l’effetto è limitato, ma non indifferente, si tratta di qualche miliardo, nel prosieguo di tempo esso è molto più grosso, perché i risparmi annui si accrescono e si cumulano fra loro. Dato che le donne nel pubblico impiego sono 1,9 milioni, con la pensione dopo 40 anni di servizio, invece che dopo 35 come attualmente di media, si riduce di un settimo la schiera dei pensionati donne, cioè di 225mila unità. D’altra parte bisogna osservare che attuando questa equiparazione fra donne e uomini nel pubblico impiego si prepara il terreno per la loro equiparazione nel settore privato. Una riforma strutturale che a regime vale 1,5 punti di Pil all’anno, cioè circa 22 miliardi attuali che cresceranno in futuro. Gli interessi del debito pubblico ci costano 5 punti di Pil. Il bilancio previdenziale ha un buco di 4,5 punti di Pil e così lo ridurremmo di un terzo. È paradossale che le donne, che vivono più a lungo degli uomini, debbano andare in pensione prima.

Dobbiamo ringraziare la Commissione europea di averci costretto a iniziare questa riforma strutturale, decisiva per il nostro risanamento finanziario. Una cosa che interessa in primo luogo i giovani, in relazione al loro futuro.

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