Peres segue Sharon: è l’uomo più adatto per guidare Israele

La nuova formazione politica fondata dal premier continua a volare nei sondaggi

Peres segue Sharon:  è l’uomo più adatto per guidare Israele

Gian Micalessin

Dopo sessant’anni l’addio. La sua prima carica l’aveva ricoperta nel 1943 quando, a vent’anni, era stato eletto segretario dei giovani sionisti laburisti. Ieri a 82 anni Shimon Peres s’è chiuso la porta le spalle e ha abbandonato il suo vecchio partito. Ma non la politica. Continuerà fin da oggi appoggiando l’ex avversario Ariel Sharon diventato l’unico ai suoi occhi in grado di riavviare il processo di pace con i palestinesi. Non entrerà nel nuovo partito fondato dal premier, ma - se come prevedono tutti i sondaggi - Sharon vincerà le elezioni accetterà l’incarico ministeriale già promessogli. «Non mi è stato facile giungere a questa conclusione – ha sottolineato Peres, ma ormai trovo delle contraddizioni tra il mio partito e l’attuale situazione politica. Senza minimizzare i sentimenti personali devo privilegiare le considerazioni più urgenti e importanti. Ho imparato dal mio maestro David Ben Gurion a preferire lo Stato al partito»”.
L’addio del «grande vecchio laburista» umiliato e sconfitto alle primarie da Amir Peretz, l’ex sindacalista che lui stesso aveva trascinato ai vertici laburisti era ampiamente previsto. Non per questo sarà meno devastante. La mossa di Shimon è l’ennesima manifestazione del terremoto che sta ridisegnando il panorama politico israeliano. Senza di lui i laburisti rischiano - come a destra sta già succedendo al Likud - di trasformarsi in un partito residuale. Con lui al fianco o comunque molto vicino Ariel Sharon è pronto a fare incetta di voti, conquistare un terzo mandato e riavviare un processo di pace di portata storica. I sondaggi parlano chiaro. L’ultimo pubblicato ieri dal quotidiano Yedioth Ahronoth dà il nuovo partito Kadima di Sharon in crescita con 34 seggi sui 120 della Knesset. Il Likud, invece, sprofonda da 40 ad appena dieci, retrocedendo da primo a quarto partito. Lo stesso potrebbe succedere ai laburisti dopo l’abbandono del loro politico più anziano.
«Questa è per me una giornata molto difficile - ha detto Peres annunciando la sua decisione – ma quando mi chiedo quale sia la cosa più importante per Israele oggi e nei prossimi anni non posso aver dubbi perché si tratta dell’inevitabile binomio della pace e dei progressi nel processo politico». L’annuncio è arrivato subito dopo il rientro da Barcellona dove, approfittando degli interventi alla conferenza dell’Euromed, Peres ha sperimentato quel ruolo di ambasciatore e negoziatore degli accordi pace che - con tutta probabilità - gli verrà affidato nel nuovo esecutivo. Poi rischiando la ricorrente accusa di opportunismo ha confermato l’intenzione d’allearsi con il futuro trionfatore. «Nell’attuale sistema politico è impossibile proseguire nel processo di pace se non con una coalizione per la pace e il progresso. La persona più adatta a guidarla, a giudicare dai risultati, è Ariel Sharon». Quell’alleanza come ha confermato Peres è già decisa e concordata. «Ho avuto colloqui con Sharon e sono convinto sia deciso a portare avanti il processo di pace immediatamente dopo le elezioni. È una persona aperta e ha idee costruttive per arrivare alla pace e alla sicurezza. Per questo appoggerò la sua candidatura e collaborerò con lui». Peres va, insomma, a fare il numero due, il vice, il grande alleato all’ombra di chi fa la storia. In fondo è un’abitudine. Iniziò con David Ben Gurion poco dopo esser arrivato undicenne dalla Bielorussia. All’ombra del padre della patria diede la scalata ai vertici della politica. In sessant’anni di carriera ha ricoperto tutte le cariche più importanti da ministro dei più svariati dicasteri a premier. Ma quando è venuto il momento di vincere, quando si è trattato di salire al potere da solo, di governare il Paese ha sempre fallito. Nella sua vita le elezioni sono frutti amari, ricordi di cocenti sconfitte. La più dolorosa è senza dubbio quella del 1996 quando venne umiliato all’ultimo minuto da Benjamin Netanyahu. Ha rivissuto la stessa amarezza lo scorso ottobre quando Peretz gli ha strappato, inaspettatamente, la guida del partito. È insomma, un eterno numero due. Lo è stato con Ben Gurion, lo fu con Rabin, lo sarà di nuovo con Sharon.

Conquistò il posto di premier solo quando qualcuno si dimise, come Rabin nel 1977, o si accordò con lui, come con Yitzhak Shamir nel governo di unità nazionale della metà anni Ottanta. Nel ’95 fu addirittura l’assassinio di Rabin a liberargli la poltrona di premier. E solo al ricordo Sharon fa gli scongiuri.

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