Persi i Mondiali in Messico, l'Honduras dichiara guerra al Salvador

Dopo le tre gare per l'accesso alla Coppa Rimet, il 14 luglio del 1969 la storica rivalità tra i due Paesi sfociò in scontri armati. Quattro giorni di combattimenti, poi la pace imposta dall'Organizzazione degli Stati Americani, che lasciò inalterati confini e reciproche rivendicazioni: nel frattempo erano morti, per niente, 6mila tra civili e militari

Altro che gli incidenti del dopo partita Carpi-Lecce, una storica rivalità, questa volta tra due nazioni, 44 anni fa sfociò addirittura in un conflitto armato, con sanguinose battaglie terrestri e feroci bombardamenti sulle città. Alle 17.50 del 14 luglio del 1969 infatti dopo la «bella» tra le due nazionali di calcio per decidere chi dovesse andare ai Mondiali del 1970, le forze armate del Salvador attaccarono l'Honduras, dando inizio alla «Guerra del Calcio». Le ostilità durarono quattro giorni, per questo fu anche chiamata «Guerra delle 100 ore», ma ci fu poco da scherzare perché provocarono circa 6mila vittime tra militari e civili. Poi intervenne l'Organizzazione degli Stati Americani (OSA) imponendo il «cessate il fuoco» ai contendenti che iniziarono lunghe e laboriose trattative, concluse solo nel 1992, con il riconoscimento dello «status quo ante».
Gli attriti tra i due Paesi nascono praticamente insieme al raggiungimento dell'indipendenza dalla Spagna il 15 settembre 1821. El Salvador, 21mila chilometri quadrati e 6 milioni di abitanti, infatti lamenta di non aver avuto uno sbocco sull'oceano Atlantico a vantaggio dell'Honduras, 112mila chilometri quadrati e 7 milioni di abitanti. Mentre viceversa, per quanto riguardava il Pacifico, l'ingombrante vicino poteva controllare il golfo di Fonseca, uno dei migliori approdi di tutta l'America centrale. La situazione alimenta per un secolo e mezzo il rancore tra San Salvador e Tegucigalpa, fino a quando queste diventano aperta ostilità nel 1969 in vista dello gara di spareggio tra le due nazionali di calcio per accedere al Mondiali messicani del 1970. A dar fuoco alle polveri, la decisione del governo honduregno di espellere 300mila «campesiños» salvadoregni, che dalla metà degli anni Sessanta si erano insediati all'interno dei suoi confini, ed espropriare le loro proprietà.

Con queste premesse dunque arriviamo all'8 giugno quando a Tegucigalpa si gioca la gara d'andata. Il clima è subito rovente, gli honduregni si piazzano sotto l'albergo della squadra ospite, tenendo svegli i giocatori a colpi di clacson e pietre sulle finestre mentre il giorno tagliano le gomme al loro pullman. La partita si svolge in clima intimidatorio e si conclude con la vittoria dei padroni di casa per 1 a 0. Per la disperazione, una ragazza salvadoregna si spara un colpo di pistola, diventando una martire: sul suo corpo migliaia di compatrioti giurarono vendetta.

Il ritorno si disputa il 15 giugno in un clima ancora più infuocato. Ancora una volta l'albergo degli avversari viene preso d'assalto e il giorno dopo gli honduregni devono raggiungere lo stadio addirittura nascosti all'interno dei carri armati dell'esercito. Dentro, una bolgia infernale, incidenti, risse, feroci corpo a copro, conclusi con due morti e decine di feriti, mentre in campo i padroni di casa si impongo per 3 a 0. Rendendo necessario lo spareggio, fissato allo stadio Azteca di Città del Messico, l'anno dopo sede della storica Italia Germania 4 a 3. Il 27 giungo le formazione entrano in campo, mentre sugli spalti i tifosi cercano il contatto nonostante la presenza di 5mila poliziotti. La partita è in bilico fino all'ultimo: vantaggio del Salvardor e pareggio dell'Honduras, ancora avanti i salvadoregni, ancora una volta raggiunti. I tempi regolamentari si concludo sul 2 a 2 ma ai supplementari, un gol di Rodriguez all'101° dà la vittoria al Salvador. Facendo contemporaneamente scoppiare tra le due tifoserie uno dei più furiosi scontri della storia del calcio mondiale.

Il giorno dopo scattano le rappresaglie in Honduras, dove vivevano ancora molti salvadoregni, aggrediti, picchiati, uccisi per strada. Non viene risparmiato neppure il personale diplomatico presente nella capitale. El Salvador dichiara allora la «Guerra de Legítima Defensa» e il 14 luglio le sue truppe attraversano i confini. Sulla carta sembra in vantaggio sugli storici avversari avendo in servizio più soldati e meglio armati, mentre l'Honduras può contare su una leggera supremazia aerea. I combattimenti vanno avanti per 4 giorni, con inevitabili rappresaglie sulle popolazioni civili. Poi il 18 luglio l'Organizzazione degli Stati Americani impone il cessate il fuoco, facendo iniziare le trattative tra i due Paesi, concluse solo nel 1992.

Praticamente tutto torna come prima, nonostante i quasi 6mila caduti: 2mila militari e 3mila civili da parte honduregna, 100 soldati e 600 campesiños dall'altra. Morti per nulla, nella più breve, ma anche nella più stupida, se mai ci potrà essere una simile graduatoria, delle guerre.

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