Piazza Affari sempre più piccola e in rosso

L’ufficio studi di Mediobanca boccia il mercato italiano: negli ultimi 82 anni l’investimento in azioni non è stato redditizio. E la Borsa precipita nella classifica mondiale: in 10 anni, da ottava a ventesima

Le famiglie italiane rimaste scottate dalla Borsa sono spesso tacciate dagli esperti di essersi mosse con un orizzonte temporale miope, di essersi lasciate spaventare dalle prime perdite. A volte però la perseveranza può rivelarsi altrettanto nociva, visto che Piazza Affari non è stata capace di premiare nemmeno chi vi avesse creduto dal 1928, perché l’inflazione avrebbe divorato la gran parte dei guadagni accumulati. A fare i conti, anche se si tratta di una media ed esistono casi virtuosi, è stato l’ufficio studi di Mediobanca nel tradizionale appuntamento di “Indici e Dati». Dalle tabelle emerge inoltre una Borsa sempre più marginale sia nello scacchiere internazionale sia rispetto al suo peso nell’economia della Penisola.
La Borsa di Lilliput
Dal 2000 a oggi, Piazza Affari è scesa dall’ottavo al ventesimo posto al mondo per capitalizzazione, surclassata dai listini di Brasile, Sudafrica, Russia, Cina, Spagna e in ultimo di Taiwan. Una debacle anche perché, pur in un contesto difficile per tutti (Londra e Francoforte hanno perso il 30% circa), la massa critica di Milano negli ultimi dieci anni si è dimezzata (-52%). Solo Atene ha fatto peggio (-54%). Altrettanto deludente la situazione per quanto riguarda il rapporto tra capitalizzazione di Borsa e pil: era il 69,6% nel 2000, oggi è il 25,5%. La Grecia è sempre in coda, ma ci precede anche la Polonia (33,9%) e la massiccia Germania è al 37,9%.
Matricole come meteore
A condannare all’inedia Piazza Affari sono sia le quotazioni che procedono a rilento sia le molte cancellazioni: 162 nel decennio, di cui la metà (49%) per un’Opa. Spesso a lasciare il listino sono state matricole fragili, altre volte gli azionisti di maggioranza hanno sfruttato prezzi da saldo per tornare gli unici padroni a casa propria. Secondo Mediobanca 80 titoli cancellati nel decennio hanno avuto una vita media inferiore ai dieci anni (46 meno di cinque anni).
L’inflazione mangia i guadagni
L’indice di Piazza Affari dal 1928 a oggi è cresciuto del 6,8% annuo. Si tratta però di un valore nominale che, una volta fatti i conti con l’inflazione, si trasforma in un calo del 2,3% medio all’anno. Un ipotetico investimento pari a 100 euro effettuato 82 anni fa, senza reimpiegare i dividendi, oggi avrebbe quindi quasi interamente consumato il capitale. L’unico modo per rendere redditizio un investimento in Borsa sembra quindi reinvestire le cedole: utilizzandone il 70% per comprare azioni si va in pari con il costo della vita. E anche stringendo il calcolo agli ultimi 15 anni, la Borsa è riuscita a pagare più dei Bot solo cinque volte.
Vincono i piccoli e le risparmio
Sono state le azioni di risparmio l’investimento più favorevole negli ultimi 15 anni, con un rendimento complessivo, inclusi i dividendi, del 10,3% medio annuo. Si sono poi in generale difese meglio le aziende a media capitalizzazione (+8,2% medio annuo), che insieme alle piccole (+7,1%) battono i Big del listino (+6,4%). Per quanto riguarda i settori, l’industria (+8,4%) ha superato banche (+6,4%) e assicurazioni (+2,4%). Gli investitori sembrano inoltre essere bloccati da una crisi di fiducia perché sebbene il valore dei mezzi propri delle aziende quotate è alto (30% del pil), i titoli sono trattati a meno del loro valore effettivo.


Il Mot parla tedesco
Sorpasso storico infine al «Mot», il mercato delle obbligazioni di Borsa Spa, che ospita ormai più titoli di Stato esteri che italiani. Ad andare per la maggiore sono i bund teschi e le emissioni francesi.

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