Il pm: nessun complotto per spiare i Prodi

da Milano

Dopo 74 languidi giorni, l’inchiesta sulle verifiche illegali all’anagrafe tributaria su Romano Prodi e Flavia Franzoni si smagnetizza. Evapora tra cento tribunali diversi perdendo così ogni consistenza. Il sostituto procuratore di Milano Francesco Prete ha scoperto che i 327 dipendenti pubblici che tra il 2005 e il 2006 cliccarono i cognomi dei coniugi Prodi a computer non facevano parte di nessuna spectre politica. Né era in corso chissà quale indagine illegale sull’aspirante premier. Ma tanti accessi erano dovuti solo ai più classici dei mali italici: la curiosità e la noia. Nient’altro. Così il reato di accesso abusivo al sistema informatico sarà ora perseguito tribunale per tribunale secondo i comuni di residenza di chi, impiegato delle agenzie delle Entrate o militare della Gdf, volle sapere quanto Prodi guadagna e quali case possiede la moglie Flavia.
Prete ha così preparato i fascicoli con le indagini che nei prossimi giorni verranno recapitati ai colleghi delle quasi cento procure che saranno interessate per competenza territoriale. A Milano, invece, rimangono solo le posizioni di due dipendenti dell’agenzia delle Entrate che verificarono 740 e atti del registro dell’attuale premier per «pura curiosità».
L’inchiesta era partita dopo una segnalazione di Vincenzo Visco che al ministero dell’Economia aveva fatto verificare se e in che misura erano stati compiuti accessi informatici sulle posizioni tributarie del leader del centrosinistra. Subito dopo, il 29 settembre, aveva presentato una denuncia a Milano visto che lì sono concentrate le indagini sul dossieraggio e le indagini parallele di Tavaroli & C. Ricevuta la denuncia firmata Visco, Prete lo scorso 26 ottobre con solerzia ha spedito oltre 500 Fiamme Gialle a perquisire casa, ufficio, automobile e quant’altro degli incensurati curiosoni. Tra l’altro venne mandato lo Scico della Guardia di Finanza, l’élite della GdF specializzata in criminalità organizzata, a perquisire le abitazioni di ignare massaie con il marito travet al Fisco. Una sproporzione di forze investigative impegnate con giornali allertati, senza precedenti. In quelle ore partirono lampi di fuoco dal centrosinistra, con i leader che gridavano allo scandalo. Frasi da rileggere. Piero Fassino chiedeva addirittura conto a Berlusconi e Tremonti: «Credo che debbano rendere conto al Parlamento di ciò che è successo. Mi pare evidente che non si possa ricondurre tutto all'attività infedele di qualche funzionario. È stata messa in essere un’attività spionistica ai danni di esponenti politici e delle istituzioni».
Fassino sparava alto quando non c’era nessuna spectre, nessun Sifar vecchio stampo. Solo travet delle Dogane, annoiati burocrati, un manipolo di sottoufficali della Finanza. Chissà se Fassino si è informato sulla tipologia di questi curiosi, spioni tot a chilo. Come l’indagata Angela di Barcellona Pozzo di Gotto. Incensurata, 65 anni, impiegata all’ufficio Entrate. Il 26 maggio cliccò il proibito «Prodi», digitato al pc mentre pensava ai cannelloni o allo sformato della sera. L’avvocato le disse di confessare e lei, occhi gonfi, in dialetto stretto gli rispose: «Sapere quanto guadagna il presidente è reato?».

Oltre a Prodi vittime di questo voyeurismo fiscale furono anche Berlusconi, D’Alema, calciatori della Nazionale, attori e soubrette. Ma il nome di Prodi, quel giorno, fu l’unico a dominare, conquistando titoli di tg e quotidiani.
gianluigi.nuzzi@ilgiornale.it

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