Polanski paga tre milioni di euro e la Svizzera lo scarcera subito

Dalla galera allo chalet «Milky Way», nel canton Berna. Dal carcere alla libertà su cauzione. Dalle sbarre al braccialetto elettronico. Di mezzo tre milioni di euro. Tanti ne servono per scrivere il lieto fine alla trama del film che la giustizia internazionale sta scrivendo su Roman Polanski. Tanti ne servono a garantire al regista franco-polacco l’uscita dal tunnel in cui è ripiombato a fine settembre, con l’arresto per violenza sessuale su una tredicenne dopo trent’anni di latitanza e il tentativo di seppellire una storiaccia che molti avevano già dimenticato. Quattro milioni e mezzo di franchi svizzeri - poco meno di tre milioni di euro -: è questa la cifra stabilita dal tribunale penale elvetico di Bellinzona per scarcerare il cineasta catturato a Zurigo sulla base di un mandato emesso negli Stati Uniti. Dopo due tentativi e altrettanti «no» alla richiesta di liberazione «per elevato rischio di fuga», sarà il denaro a garantire la svolta.
La Svizzera salva per ora il suo detenuto eccellente. E lo fa con l’avallo del ministero della Giustizia, che ha diritto all’ultima parola sul caso. Ma che ieri ha detto a chiare lettere di non vedere motivi per fare ricorso contro la decisione del giudice, entro i dieci giorni stabiliti per legge.
Per il cineasta si apre insomma la prospettiva più rosea: fuori dal carcere e agli arresti domiciliari nel suo chalet di Gstaad, canton Berna, uno dei luoghi del turismo di lusso svizzero, dove Polanski si recava regolarmente prima dell’arresto. Il tribunale federale tiene a precisare che la «liberazione» sarà accompagnata da «misure di sostegno»: il deposito di documenti di identità e la sorveglianza elettronica, che non gli consentirebbero l’espatrio né la fuga. E rimarca le ragioni della sua scelta con una dichiarazione che elogia le sue doti «di padre responsabile» ma prende in considerazione «la sua età avanzata», 76 anni, per sottolineare il rischio che l’artista non riesca ad accumulare la somma fissata.
Più della buona parola messa per lui dal ministro della Cultura francese Frédéric Mitterrand o dal filosofo Bernard-Henri Lévy, più della mobilitazione a sua difesa di artisti e intellettuali di mezzo mondo, saranno quei tre milioni di euro - già ribattezzati la «maxi-cauzione» - a decidere del futuro del regista.
Dopo due mesi di carcere e la richiesta di estradizione verso gli Stati Uniti che pende ancora sul collo del premio Oscar - e che non sarà intaccata dalla cauzione stabilita ieri per la sua scarcerazione - il creatore del Pianista e di Chinatown rischia comunque ancora due anni di carcere negli Usa. Il peso di quella vecchia storia sarà anche alleggerito dalla decisione delle autorità svizzere ma non farà desistere gli americani. Nemmeno di fronte allo stop al processo chiesto proprio da Samantha Geimer, la tredicenne violentata in quel lontano 1978, che forse per dimenticare o dietro pagamento dello stesso Polanski vuole seppellire anche lei l’incubo vissuto: essere stata chiamata da Polanski per essere fotografata per Vogue come una lolita ed essere stata abusata sessualmente, dopo l’obbligo a ingerire tranquillanti, e infine sodomizzata.


Intanto ieri a ricordare una scena del film rocambolesco e ancora mai scritto sulla vita del regista ha pensato Christie’s, che ha messo all’asta la foto di Polanski e Sharon Tate, realizzata da David Bailey nel 1969, poco prima che l’ex moglie del regista fosse assassinata dai seguaci del serial killer Charles Manson. Incasso stimato: tra gli 8mila e i 12mila dollari.

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