Polaroid: ultimo scatto

Crollo delle vendite, stop alla produzione di macchine e pellicole. E i fan di tutto il mondo si mobilitano per salvare il simbolo della fotografia popolare

Un clic, una sventolata all’aria aperta, e su quell’inconfondibile foglietto col bordo bianco appariva il soggetto che poco prima avevamo inquadrato. Ecco la magia della macchina fotografica Polaroid, scatoletta misteriosa che in pochi minuti restituiva immagini ed emozioni. Era la camera che sfornava i ricordi, il simbolo di un nuovo modo di scattare, immediato, fruibile, meno dispendioso perché evitava il costo di sviluppo dei rullini e della stampa. Era il mezzo più democratico di tutti, usato da grandi e piccini, per ritratti di famiglia e opere d’arte. Lo scorso febbraio la Polaroid ha compiuto sessant’anni. Oggi la casa di produzione ha annunciato di voler cessare la fabbricazione del supporto e dei caricatori di pellicola nell’arco di un anno, a seguito del calo vertiginoso delle vendite causato dall’avvento del digitale e solo un anno dopo aver mandato in pensione il celebre modello Instamatic. Professionisti, collezionisti e amanti del vintage non dovrebbero però disperare. Il mercato è ancora ben fornito e le scorte di rullini dureranno almeno fino al 2009. In tempo utile perché l’azienda riesca a trovare un partner che acquisisca i diritti (condivisi con la Fuji) per continuare a produrre l’instant film e non deludere gli appassionati. Se si estinguesse del tutto, sarebbe come perdere un pezzo della cultura moderna, come se scomparisse un dialetto, un profumo, una specie protetta. Sul web è partito un progetto per salvarla: il sito www.polanoid.net (per ora in inglese), raduna gli amanti del genere che sono invitati a mandare le proprie istantanee per creare la più grande collezione del pianeta. Attualmente sono iscritte circa diecimila persone. È il paradosso del digitale che tenta di sanare l’analogico.
Il nome Polaroid deriva dallo speciale foglio di plastica utilizzato per polarizzare la luce. Venne brevettata nel 1929 grazie al geniale Edwin Land. La inventò per soddisfare le fantasie e l’impazienza della figlia piccola che aveva chiesto se fosse possibile vedere subito le foto realizzate. Venne messa in commercio nel 1947: era un modello 95 che sviluppava lo scatto in soli sessanta secondi, fu una rivoluzione che cambiò le regole del mercato. Il colore arrivò nel ’63. L’elegante Swinger venne lanciata nel ’65, anch’essa immediatamente popolare. Costava 20 dollari. A fare da testimonial, nel ’72 fu chiamato Sir Laurence Olivier, che si prestò per una miniserie di spot televisivi diventati un culto. Proprio in quegli anni fu commercializzata la OneStep, la più venduta. Al suo formato quadrato e ai suoi colori lievemente innaturali si sono affidati i più grandi autori del passato e del presente secolo. Andy Warhol ed Helmut Newton, che della instant photography ha fatto uno dei suoi mezzi di espressione preferiti. E poi Maurizio Galimberti, Gian Paolo Barbieri, Ansel Adams, Walker Evans, Robert Frank e Robert Mapplethorpe, per citare alcuni. Viene ancora usata in campo medico, scientifico, legale, artistico. Non si contano più i libri e le mostre a lei dedicati. Perfino la rivista Life le ha di recente riservato una copertina. Con una «usa e getta» fu immortalato il povero Aldo Moro dai suoi sequestratori; attraverso una polaroid l’attrice Mia Farrow seppe del tradimento del marito Woody Allen con la figlia adottiva Soon Yi. L’istantanea, in questo mondo che corre, è solo digitale.

E tutti si convertono. Ma in un’epoca di multipli, resta un pezzo unico e irripetibile. E, come disse Newton, «le polaroid hanno una freschezza che manca alle altre fotografie». Questo, forse, la preserverà dall’estinzione.

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