La polemica: troppi arruolati dal Sud

In principio fu Mario Borghezio, era il 1996 e sembrano mille anni fa: «Faccio appello ai giovani Padani perché si arruolino nel glorioso corpo alpino». Son passati 15 anni, i giovani di allora sono invecchiati chi bene come Borghezio chi peggio, e oggi l’appello tocca metterlo nero su bianco, con tanto di disegno di legge che convinca i nati sul libero suol a indossare la penna nera, col che ottenendo un doppio risultato: incrementare le fila del corpo più amato dai leghisti, e al contempo arginare fra le stesse fila l’invasione dell’orda terronica. Primo firmatario il deputato bresciano Davide Caparini, leghista della prima ora, quello che, per intenderci, ha fondato il quotidiano la Padania, Radio Padania e il fu settimanale Sole delle Alpi e oggi è editore di Telepadania.
Naturalmente lo scontro già sfiora la rissa. Razzisti, si son sentiti dire una volta di più i leghisti. Perché nella relazione allegata al testo del disegno di legge il Carroccio lamenta la riduzione «drastica delle popolazioni del Nord» fra gli arruolati, il che, si legge nella relazione allegata al testo, «snatura l’identità dei reparti» e «spezza i secolari legami con il retroterra sociale di cui sono tradizionalmente espressione». E cioè, va da sé, la Padania. Perché va bene il sacrificio dei siciliani in epoca di guerre coloniali in Eritrea e financo le medaglie d’oro al valor militare agli abruzzesi, ma insomma, lo dice pure il nome, il corpo nacque per difendere le frontiere alpine, ricordano gli studiosi padani, e infatti le prime 15 compagnie, correva l’anno 1873, vennero dislocate nei distretti di Cuneo, Torino, Novara, Como, Brescia, Treviso e Udine, mica all’Aquila e nemmeno a Palermo. Che il Carroccio abbia una sorta di fissa affettiva per le Penne Nere del resto è noto. Il Senatùr lo diceva già nel 2003, a ruvido modo suo, che «l’arruolamento deve avvenire nelle zone tipiche pedemontane, insomma la Lombardia, il Piemonte e il Veneto», perché «oggi ci sono i meridionali che vanno a fare gli alpini. Oggi nessuno ci va più a fare l’alpino e hanno dovuto prendere gente che viene dal di fuori». Prima di lui, nel lontano 1993, l’allora giovane dirigente leghista Roberto Maroni svelò al settimanale Epoca le simpatie degli alpini bellunesi della Brigata Cadore per Umberto Bossi. Non per niente il nutrito associazionismo padano conta una federazione alpini padani che sul suo sito web cita una frase di monsignor Carlo Chiavazza, Cappellano della Tridentina in Russia: «L’onore di essere Alpino, perché la leggenda delle Penne Nere si tramandi dai veci ai bocia con immutato e affascinante splendore».
Nella proposta di legge attuale la «gente che viene da fuori» di bossiana memoria s’è trasformata in «aliquota», come quella delle tasse: bisogna ridurre «l’aliquota sempre crescente di volontari provenienti dalle regioni del Sud, che incide profondamente sull’efficacia operativa delle unità alpine». Parole che, chiare nella relazione allegata al testo, in realtà scompaiono nel documento, che infatti è stato sottoscritto anche dal Pdl. Il disegno di legge propone di incentivare il reclutamento dei giovani padani con benefici fiscali o consentendo alle nuove leve settentrionali di svolgere servizio «in siti prossimi» al comune di residenza.
«Occorre compiere un salto di salvaguardia e di ripristino del legame tra Alpi e alpini». Caparini lo diceva già nel 2008, prima ancora nel 2004. Non c’è ancora riuscito, ma c’è da credere che non mollerà.

Per dire la determinazione: in segno di protesta conto i ritardi per il completamento dei lavori di ammodernamento della Statale 42 del Tonale e della Mendola, il 23 giugno 2007 ha percorso correndo gli oltre 62 chilometri che separano Iseo da Capo di Ponte. La ribattezzò «la mia ultramaratona», durò «soltanto» sei ore e mezza.

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