La politica dell'(il)logico Bertrand Russell. Così anticapitalista e così antistatalista

Gaetano Pecora riflette in un libro sui paradossi del filosofo che si mosse fra liberalismo e socialismo

La politica dell'(il)logico Bertrand Russell. Così anticapitalista e così antistatalista
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Immaginate di vivere in un Paese comunista, dove terra, risorse naturali e mezzi di produzione sono in mano dello Stato. E immaginate che qualcosa di quel Paese non vi piaccia e vi decidiate a voler scrivere un libro contro il sistema. Ingenuamente, vi presentate al burocrate incaricato di autorizzare le stampe e puntualmente il timbro rosso del rigetto cade sulla vostra pratica. Che fare? Darsi per vinti? Fortunatamente nei paraggi vive un logico che sa usare la zucca e può darvi un consiglio. E non solo di un logico qualunque si tratta, ma nientemeno che di Bertrand Russell, studioso delle sottigliezze del pensiero formale conosciuto e rispettato. «Lord Russell, cosa devo fare col mio libro?». «Vedi ragazzo mio risponde l'illustre ragionatore nulla di più semplice: questo Paese è ben organizzato. Al potere dello Stato vi sono dei contrappesi che io stesso ho elaborato. Non hai che da pagare per fartelo stampare!». E con questa perla di chiarezza venite gentilmente accompagnati alla porta. Sulle prime siete contenti perché il problema sembra risolto, ma poi vi viene di pensare: «Sì, va bene pagare, ma pagare chi se tutti i tipografi sono funzionari al soldo dello Stato che si inventeranno di tutto per evitare la rogna? E poi dove li trovo i soldi? Lo Stato? Ma se è il primo che non vuole che libro esca...».

E così, con buona pace di Lord Russell e della sua «logica» il libro finisce a reggere la proverbiale gamba del tavolo. Sembra un raccont uscito dalla penna di un maestro dell'assurdo come Lewis Carroll. Peccato che il pensiero di Bertrand Russell sul punto della configurabilità della libertà di stampa in un regime di «socialismo avanzato» fosse proprio quello e che il maestro della logica, in politica, ragionasse come il leprotto bisestile. Per chi desiderasse approfondire la questione è uscito il libro di Gaetano Pecora, Bertrand Russell tra liberalismo e socialismo (Donzelli) che mette il dito su questa e sulle molte altre piaghe dell'(il) logico Russell. Russell passa dall'incontro con Lenin che gli fa dire che: «Forse l'amore per la libertà è incompatibile con la fede assoluta in una panacea per tutti i mali» a scrivere che: «Il bolscevismo merita la gratitudine e l'ammirazione dei progressisti di tutto il mondo». Si compiace della concorrenza libero-scambista che gli fa trovare casa dopo che un primo locatore gli voleva imporre la rinuncia alle sue idee e poi si spertica per l'autogestione, che già normalmente è la soluzione per salvare la capra della libertà e i cavoli dell'anticapitalismo senza capire un accidente né di capre né di cavoli, ma che nel caso di Russell si tinge ancora di più di rosso in quanto lo Stato diventerebbe proprietario di tutto decidendo pure prezzi e livelli di produzione. Si professa scettico, ma a più riprese sembra addirittura tentare di dimostrare razionalmente i suoi valori assoluti. Insomma un guazzabuglio che riporta alla mente una deliziosa scena di Così parlò Bellavista dove due anziane signore si recano al bancolotto per farsi interpretare i sogni e giocarsi i relativi numeri. E dopo aver segnalato che il sogno riguardava dei «bersaglieri a cavallo» si sentono rispondere dall'irato commesso che «nun' esistono e bersaglieri a cavallo!», «E per questo è un sogno» risponde decisa una delle vecchine con mirabile logica.

Peccato che a Lord Russell difettasse un po' di questa consecutio partenopea. Disponendone, forse si sarebbe accorto che nel campo della sua politica di bersaglieri a cavallo ne galoppavano parecchi e che i suoi sogni, alla prova dei fatti, si sarebbero rivelati incubi.

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