"La forte caduta di natalità sperimentata negli anni passati potrebbe continuare anche nei prossimi decenni e, alla, fine ci troveremo con un Paese che nel 2070 avrà 300mila nati e quasi 800mila morti". È questo l'allarme lanciato dal presidente dell'Istat, Gian Carlo Blangiardo, riguardo al tema dell'inverno demografico.
Come sarà l'Italia del 2070?
È chiaro che è un Paese completamente diverso che ha perso vitalità e che ha molti più problemi sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista del welfare. Oggi abbiamo 820mila persone che hanno almeno 90 anni e 22mila che ne hanno cento. Si prevede che nel 2070 si arriverà ad avere almeno 2 milioni e 200mila persone con almeno 90 anni su 48 milioni di abitanti e 145mila persone con almeno cento anni. Questo determina un grosso sforzo soprattutto sul fronte della sanità”.
Le politiche per la famiglia possono invertire la rotta?
“Sicuramente possono invertire la rotta. Le scelte riproduttive, ovviamente, sono individuali e interne alla famiglia. Se non vengono fatte è perché ci si rende conto che ci sono delle difficoltà e, quindi, parte il continuo rinvio che, alla fine, diventa una rinuncia. Una politica che consenta di eliminare gli ostacoli a realizzare il desiderio di creare una famiglia è la politica ideale a cui aspirare. Questo significa intervenire ancora una volta dal punto di vista economico e del mondo del lavoro. La provincia di Bolzano, dove non si arriva ai due figli per donna però rispetto alle altre province, tiene perché esiste la possibilità che le donne lavorino con orari flessibili ed esistono strutture per bambini. Questo aiuta a fare certe scelte”.
L’arrivo di nuovi migranti può aiutare oppure non bastano?
“L’immigrazione è una componente importante, ma non è la soluzione. I neonati stranieri nel 2012 erano 80mila, mentre oggi sono 54mila nonostante la popolazione straniera sia cresciuta di un milione di abitanti. Questo significa che il tasso di natalità della popolazione straniera, all’inizio del secolo, era intorno al 24%, mentre ora è all’11%. Il punto è che a volte la popolazione straniera incontra anche maggiori difficoltà di quella italiana e, quindi, ridimensiona le proprie scelte. È importante, ma non risolutiva e, perciò, dobbiamo integrarla con altre misure”.
Tema pensioni. Dovremmo andare in pensione sempre più tardi?
“Noi abbiamo diverse stagioni della vita: uno prima impara, poi inizia a lavorare e, alla fine, smette e si riposa. Cinquant’anni fa i confini per la pensione erano i 50-60 anni anche perché l’età media era 70 anni. Oggi, invece, la durata della vita si è allungata di una decina d’anni. siamo più vigorosi, facciamo più sport e altri fattori hanno determinato nuovi ragionamenti per cui l’età lavorativa non deve per forza finire a 65-67 anni. Si può pensare anche che, liberamente, con degli incentivi, si possa anche proseguire a lavorare. Nei prossimi 40 anni perderemo 11 milioni di persone in età lavorativa e abbiamo anche 5 milioni di persone tra i 60 e i 65 anni, una sorta di esercito di riserva. Non tutti hanno voglia di lavorare, ma diamo la possibilità a chi lo voglia fare di farlo perché sono una ricchezza di esperienze che è meglio non sprecare”.
Qual è l’andamento dell’inflazione?
“La frenata si è attenuata perché c’era stato un intervento
sulle accise. Ora quegli interventi sono finiti e l’inflazione ha ripreso a salire, ma non con la velocità di prima. È chiaro che è un problema per i meno abbienti, ma ci auguriamo che prima o poi finirà, però, non nel 2023”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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