Non c’è crollo di un regime che non sia accompagnato da una caccia ai forzieri del dittatore di turno. La Siria non fa eccezione a questa regola. Ad una settimana esatta dalla caduta di Damasco, infatti, è già partita la ricerca internazionale dei soldi e dei beni riconducibili alla dinastia degli Assad, la quale ha dominato con il pugno di ferro per oltre 50 anni un Paese in cui si stima che il 70% della popolazione viva in stato di povertà.
Ricostruire la vasta rete di investimenti e di interessi economici della dittatura siriana non è un’impresa facile. Secondo gli ultimi dati disponibili contenuti in un rapporto del dipartimento di Stato Usa del 2022 le ricchezze del regime di Bashar al-Assad sarebbero comprese tra uno e 12 miliardi di dollari. L'ampia discrepanza che emerge dalle valutazioni fatte da Foggy Bottom è indice proprio della difficoltà di rintracciare l’immenso patrimonio del clan alawita.
Le ricchezze del regime deriverebbero da decenni di esercizio di monopoli statali e, più di recente, dal traffico di stupefacenti i cui proventi sarebbero poi stati reinvestiti all’estero. “La famiglia al potere era esperta sia di violenza che di finanza criminale”, fanno notare i legali che hanno indagato sulle ricchezze degli Assad. Il fratello più piccolo di Bashar, Maher, gestiva in Medio Oriente il traffico di captagon, "la droga della jihad", mentre Asma, la moglie del dittatore, forniva prezioni consigli sui meccanismi finanziari internazionali appresi quando lavorava per la banca JP Morgan.
La nascita dell’impero economico degli Assad risale agli anni Settanta quando Hafez, padre di Bashar, affidò appena arrivato al potere il monopolio delle importazioni di tabacco a suo cognato Mohammed Makhlouf. Quest’ultimo estese ulteriormente i suoi affari per poi passare l’attività a suo figlio Rami. In effetti gli analisti ritengono che i Makhlouf, i quali avrebbero investito a Dubai, Vienna e Mosca, siano stati il pilastro economico del regime siriano. Nel 2008 il dipartimento del Tesoro Usa ha approvato sanzioni contro Mohammed considerandolo beneficiario e agente di attività di corruzione.
Per ragioni non del tutto chiare, il sodalizio tra i due clan siriani sarebbe però terminato nel 2020. Si dice che Bashar al-Assad non abbia gradito il tenore di vita sfoggiato sui social dai figli del cugino Rami e l'aiuto finanziario negato al macellaio di Damasco durante la guerra civile cominciata nel 2011. Tramontata l’influenza dei Makhlouf, Asma Assad ha gestito l’acquisizione dei beni legati a tale clan. Anche la moglie di Bashar nel 2020 è finita nel mirino delle autorità Usa ed è stata definita, assieme alla sua famiglia, “una delle più note profittatrice di guerra siriane.”
“Abbiamo il dovere di recuperare i soldi per il popolo della Siria”, afferma William Bourdon, avvocato specializzato in diritti umani. Sebbene già nel 2019 siano stati congelati 95 milioni di dollari in beni presenti in Francia riconducibili agli Assad, i precedenti legati alle dittature in Libia e Iraq non lasciano ben sperare. Infatti, su 54 miliardi di dollari appartenenti al regime di Gheddafi solo circa 110 milioni di dollari sarebbero stati recuperati.
Oltre alla difficoltà di mettere mani sui beni dell'ex dittatore di Damasco negli Emirati Arabi Uniti e in Russia, c'è un'altra questione che
tiene banco: a quale entità statale siriana restituire il maltolto? Su questo punto, nonostante le rassicurazioni ricevute dagli ex qaedisti di Hayat Tahrir al-Sham, la comunità internazionale ha ancora molti dubbi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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