Meloni, sinistra in imbarazzo. I profeti di sventura smentiti dalla realtà

Difficile negare che la presidente del Consiglio abbia contribuito a riannodare un dialogo con la Commissione europea, che in tema di commercio internazionale, ricordiamo, ha una competenza esclusiva che non può in essere delegata ai singoli Stati membri

Meloni, sinistra in imbarazzo. I profeti di sventura smentiti dalla realtà
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È qualcosa che fanno il cane con l’osso, il castoro e il tarlo con il legno, i topi con le croste di formaggio ed è un’espressione cara a Matteo Renzi per quanto impronunciabile: anche perché è difficile scrivere di «reazioni » delle opposizioni alle parole di Giorgia Meloni sull’Ucraina e sull’invasore Putin, rivolte a Trump, quando di reazioni semplicemente non ce ne sono state. Forse è proprio questo a far supporre che le opposizioni e i loro scriba siano rimasti quantomeno inceppati: a fronte di questo e, nondimeno, di uno status europeo della premier che ne è uscito sicuramente rafforzato, a dispetto delle gufate (Renzi docet, ancora) con cui nei mesi scorsi hanno cercato di macchiettizzarla: perché la Meloni è di destra, perché è «amica di Orban» e altri presunti handicap che avrebbero dovuto farla inciampare in questa trasferta. Va ricordato che la premier ha tenuto il punto sull’Ucraina con certa chiarezza (si provi a negarlo, anche se ci hanno provato) e va ricordato che l’unico ad averlo fatto, in precedenza, era stato direttamente

Volodymyr Zelensky in uno scenario di urla e minacce che fece il giro del mondo e che giovedì giustificava qualche timore reverenziale: anche perché a Washington c’era lo stesso comitato d’accoglienza. Trump, solo cinque giorni fa, aveva addossato a Zelensky le responsabilità dell’avvio del conflitto.

Hanno scritto che lo staff di Giorgia Meloni avesse chiesto di ridurre le domande dei giornalisti proprio per prevenire incidenti diplomatici: di fatto questa riduzione non c’è stata, e di Ucraina si è riparlato proprio perché un giornalista ha chiesto alla Premier che cosa pensasse di Trump che aveva «considerato responsabile Zelensky» della guerra.

Testuale la risposta: «Lei sa come la penso: penso che ci sia stata chiaramente un’invasione, e che l’invasore da quel punto di vista fosse Vladimir Putin e la Russia ». Mancava solo che facesse un disegno, magari da issare e mostrare in qualche divisiva manifestazione per la pace di un genere che ormai ha un valore pratico e politico equivalente allo zero. O forse è stata la comprensibile attenzione per le questioni economiche (i maledetti dazi) ad aver in parte ombreggiato la banale rettitudine di Giorgia Meloni: che in fondo è stata, pure, la prima leader europea a essere ricevuta alla Casa Bianca da quando Trump ha iniziato la guerra commerciale contro mezzo mondo, questo dopo aver lui snobbato e talvolta ingiuriato le stesse istituzioni dell’Unione.

Difficile negare che la presidente del Consiglio abbia contribuito a riannodare un dialogo con la Commissione europea, che in tema di commercio internazionale, ricordiamo, ha una competenza esclusiva che non può in essere delegata ai singoli Stati membri: in tal senso Giorgia Meloni ha ottenuto il massimo di quanto le era possibile, e il fatto che Trump abbia accettato un invito per una visita ufficiale non solo a Roma («in the near future») ma anche «con l’Europa» mette insomma il cappello a una trasferta che forse meglio non poteva andare.

Trump si

è detto certo «al 100 per cento» di poter trovare un accordo con l’Unione Europea entro il 9 luglio, cioè quando dovrebbe scadere la sospensione sull’aumento dei dazi. Diteci se è poco. O forse serve un disegno anche qui.

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