Julia Ituma ha lasciato tutti senza fiato, sbigottiti e addolorati per una morte difficile da accettare. La pallavolista italiana di origini nigeriane era una ragazza piena di talento che sulla carta aveva ancora tanta vita e tanti successi davanti a sé. Eppure aveva perso la speranza che permette l'attesa fiduciosa del futuro. Quella speranza che contrapposta al nostro limite intrinseco di umani rende tollerabile l'angoscia di morte, aiutandoci a negare che da un momento all'altro la nostra esistenza potrebbe finire. Di fronte alla tragedia di Julia chi le sopravvive pensa che avrebbe potuto fare qualcosa per evitare il suo gesto fatale. È impossibile pensare che la giovane non avesse dato segni della sua profonda depressione e chi l'ha conosciuta e amata si interroga e si dispera per non averli colti prima della sua decisione di farla finita lasciandosi cadere nel vuoto. È impossibile pensare che di tutti i suoi amici neanche uno avesse l'empatia che serve a cogliere un disagio crescente ma è andata esattamente così, sebbene fosse amata. Negli altri la speranza era viva, l'angoscia di morte era denegata, permettendo di partecipare alla vita nonostante le sue difficoltà. Quando l'angoscia di morte è dissociata la mente ha messo in campo un meccanismo di difesa salvifico per preservarsi da una sofferenza che non permetterebbe di vivere la quotidianità. Stare accanto a chi ha perso la speranza vuol dire cedere una parte della propria alla persona che non ha. Per il principio dei vasi comunicanti chi aiuta si ritrova più triste e più vuoto. Per aiutare l'altro è necessario potersi privare di una parte di quella forza che ci sostiene per non cadere giù. È necessario dissociarsi da sé, dai propri problemi e dal malessere personale per occuparsi di quello di chi ci sta affianco. Serve autostima, un narcisismo in equilibrio e il sostegno di qualcuno che a sua volta sostenga chi condivide la disperazione. Non si può essere soli per aiutare una persona disperata. Serve una comunità, una rete sociale, un ambiente sano in cui l'ansietà non domini le relazioni.
Una società competitiva non lascia spazio ai rapporti umani che hanno bisogno di profondità per essere veramente vissuti. Nessuno si è accorto del malessere di Julia perché non c'era il tempo né lo spazio mentale. Mentre gli altri, affannati, rincorrevano il futuro, lei non riusciva più a sopportare l'attesa.
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