All'Aia ci ripensano: «Milosevic non era colpevole»

Il presidente serbo riabilitato dieci anni dopo la morte, non voleva schiacciare i musulmani

Riccardo Pelliccetti

La giustizia alla fine trionfa? Sembrerebbe di sì, ma non è così. Quando un essere umano è detenuto per sei anni e muore in carcere, a poco serve che dieci anni dopo la sua morte sia riabilitato. Questa non è giustizia. Ma ci siamo abituati. E siamo abituati ai grandi e lunghissimi processi del Tribunale penale internazionale (Tpi), dove alla sbarra finiscono gli sconfitti e dove alcuni Paesi si arrogano il diritto di fare i gendarmi, dando la caccia ai presunti criminali di guerra, ma allo stesso tempo non riconoscono l'autorità di questa Corte se a commettere i crimini di guerra sono i propri leader o comandanti militari. Così va il mondo. E ora che sono cadute le accuse contro Slobodan Milosevic, ex presidente serbo e della repubblica federale jugoslava, nessuno può dirsi soddisfatto. Certo, il nome riabilitato conforterà la sua famiglia, ma le umiliazioni, la detenzione, le accuse e l'isolamento di un intero popolo, quello serbo, non sono di sicuro lenite da un verdetto troppo postumo.

Milosevic non fu responsabile di crimini di guerra in Bosnia, punto. A metterlo nero su bianco è proprio il Tpi, anche se non è un'assoluzione perché il processo contro l'ex presidente serbo è terminato con la sua morte. Ma i giudici dell'Aja una sentenza l'hanno emessa e nelle oltre 2500 pagine, con cui motivano la condanna a 40 anni di carcere contro il leader dei serbi di Bosnia, Radovan Karadzic, scrivono chiaramente che dietro le atrocità compiute nel conflitto balcanico non c'era Milosevic. I magistrati, infatti, sostengono che sia Milosevic sia Karadzic volevano preservare l'unità della Jugoslavia, ma che il leader di Belgrado non voleva reagire alla «dichiarazione di sovranità dell'assemblea di Serbia-Bosnia-Erzegovina, fatta in assenza dei delegati serbi» con l'istituzione della Repubblica serba di Bosnia perché riteneva errato compiere un atto illegale in risposta a un altro atto illegale. Ma non solo. Negli incontri ufficiali e non con i rappresentanti dei serbi di Bosnia e con i membri del suo governo ripeteva sempre che «tutti i cittadini di altre nazioni ed etnie vanno protetti e che l'interesse nazionale dei serbi non è la discriminazione». Dulcis in fundo, dal verdetto Karadzic emerge anche che Milosevic cercò di far ragionare i serbo-bosniaci, sostenendo che «più importante di tutto era mettere fine alla guerra e che il mondo non avrebbe accettato che i serbo-bosniaci, con un terzo della popolazione della Bosnia Erzegovina, controllassero oltre la metà del territorio». «L'errore più grande dei serbo-bosniaci aveva detto Milosevic in alcune riunioni era di volere la sconfitta totale dei musulmani di Bosnia».

Peccato che solo dopo 20 anni sia emersa la verità e che questa verità non trovi spazio sui media, i quali si erano superati in passato nel dipingere Milosevic come il mostro senza

scrupoli che aveva pianificato la pulizia etnica nei Balcani. L'ex presidente serbo è morto dietro le sbarre per soddisfare la sete di rappresaglia di chi non tollerava che un popolo orgoglioso sfidasse il nuovo ordine mondiale.

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