Allarme sulle pensioni. Tagli per il crollo del Pil

La buona notizia è che un decreto del 2015 limita il salasso. La cattiva è che, se non ci saranno interventi legislativi specifici, come quelli che chiedono i sindacati dei pensionati, il crollo del Pil dei prossimi due anni porterà in dote un taglio delle pensioni future

Allarme sulle pensioni. Tagli per il crollo del Pil

La buona notizia è che un decreto del 2015 limita il salasso. La cattiva è che, se non ci saranno interventi legislativi specifici, come quelli che chiedono i sindacati dei pensionati, il crollo del Pil dei prossimi due anni porterà in dote un taglio delle pensioni future.

Tutto nasce dalle riforme previdenziali degli anni Novanta, che non erano state tarate su eventuali recessioni pesanti, tantomeno su crolli pluriennali della produzione a causa di una pandemia planetaria. Per mantenere il sistema previdenziale (e i conti pubblici) in equilibrio le leggi sulla previdenza prevedono che il montante contributivo, cioè la somma di quanto versato da lavoratori e datori, sia rivalutato attraverso un coefficiente di capitalizzazione. Un indice legato all'aumento del Prodotto interno lordo (la media delle variazioni del Pil degli ultimi cinque anni), che viene applicato ai contributi versati fino a un anno prima del pensionamento (l'ultimo anno non conta). La rivalutazione si applica solo alle pensioni contributive o alla quota contributiva di quelle miste.

La logica è chiara: più cresce l'economia, maggiore sarà l'assegno. L'unico problema è che per i prossimi due anni si prevede un crollo senza precedenti dei Pil, che influirà inevitabilmente nella media. L'effetto concreto, calcolato dal quotidiano Messaggero, sarà un tasso di capitalizzazione dello 0,7%, contro una rivalutazione che - se fossero stati rispettate le previsioni di crescita pre covid, sarebbe stata intorno al 2%. Riduzione che, cumulata, si avvicinerebbe al 3%.

Una misura contenuta nel decreto 65 del 2015, spinta dai sindacati, evita che ci siano valutazioni negative del montante. Cioè perdite. Ma è una soluzione a metà, spiega il segretrio confederale della Uil Domenico Proietti, che propone al governo di «sterilizzare subito gli effetti negativi che la caduta del Pil ha sulle pensioni future. Se da una parte la rivalutazione del montante contributivo dei futuri pensionati non può essere inferiore all'1% a seguito delle modifiche del 2015, è altresì vero che eventuali differenze saranno recuperate negli anni successivi con effetti negativi sul futuro previdenziale dei lavoratori». I pensionati futuri pagheranno il conto della recessione attuale.

C'è poi il nodo delle pensioni in essere. La crisi potrebbe impattare anche su quelle. Il meccanismo di rivalutazione, la perequazione, si basa sull'inflazione. Tutto dipende dal tipo di reazione che avranno i prezzi alla crisi dell'offerta e a quella dei consumi. La Uil, spiega Proietti, chiede al governo di «intervenire sia per il calcolo della rivalutazione del montante sia per l'individuazione dell'indice di rivalutazione».

Una strada che i sindacati stanno cominciando a valutare è che l'anno in corso e forse anche il prossimo siano in qualche modo dimenticati, cancellati, non conteggiati nei vari calcoli di indici e coefficienti che riguardano le pensioni. Questo, in primo luogo, a beneficio di pensionati e pensionandi.

Ma anche lo stato potrebbe avere qualche vantaggio. Tra gli automatismi legati agli indici che modificano le pensioni c'è infatti anche quello che fa variare l'età pensionabile all'aspettativa di vita. La progressione è piuttosto regolare e sono tre mesi di aumento del requisito anagrafico ogni due anni. Quello oggi in vigore è 67 anni.

Tra le conseguenze statistiche della pandemia potrebbe esserci un abbassamento della aspettativa media di vita degli italiani. Si calcola che possa addirittura calare di un anno. Con una moratoria il governo potrebbe evitare un costoso abbassamento dell'età pensionabile.

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