Partiamo dalla fine. Ci scambiamo i contatti mail. Ilaria Capua fa lo spelling del suo indirizzo. «H come Hopkins». Fantastica. Chiunque avrebbe detto «h come hotel». Ma lei ha i suoi riferimenti. Ovviamente scientifici. E su quelli resta irremovibile. La virologa è da poco rientrata in Italia dopo anni negli Stati Uniti.
Secondo lei la dengue rappresenta un pericolo reale per l'Italia? Dobbiamo averne paura?
«Avere paura non serve. Ma, questo sì, serve una lotta con tutti i crismi contro le zanzare, a cominciare dalla zanzara tigre, veicolo del virus. Le istituzioni devono provvedere a bonifiche e disinfestazioni e i cittadini privati devono evitare situazioni che favoriscono la diffusione delle zanzare: dai sottovasi pieni di acqua stagnante a stagni e mini laghetti nei giardini. E poi vanno utilizzati i repellenti, assolutamente».
Altrimenti cosa può succedere?
«Oltre a gestire gli arrivi dal Brasile negli aeroporti, dobbiamo evitare che la zanzara tigre si infetti e dia vita a un ciclo autoctono nazionale. Quello diventerebbe un problema».
Però il vaccino c'è.
«Sì, ma è meglio non prendere la dengue. La seconda infezione è peggio della prima: il virus è in grado di sfruttare in qualche modo a suo vantaggio l'immunità sviluppata dall'organismo».
Ogni tanto si viene a sapere di qualche caso di aviaria. Tutto normale?
«La situazione è molto seria. Non per il rischio del salto di specie nell'uomo ma per la situazione sanitaria degli animali: nel 2023 sono morti o sono stati abbattuti 450 milioni di volatili. Per questo le uova in Gran Bretagna sono aumentate al dettaglio. Un costo enorme per il settore agricoltura ed è praticamente così ovunque».
Lei dà per certo che ci sarà una nuova pandemia.
«Non sappiamo quando, né se si diffonderà per via respiratoria, sessuale o oro-fecale. Ma ci sarà. Del resto lo scorso secolo ci sono state tre pandemie influenzali (spagnola, asiatica e Hong Kong) e poi c'è stato l'Hiv. Facendo i conti, le pandemie influenzali arrivano ogni 11-40 anni».
Se dovesse scoppiare una nuova emergenza, crede che la gente si chiuderebbe ancora in casa come nel 2020?
«Se non l'avessimo fatto, tutta l'Italia avrebbe rischiato di diventare come la città di Bergamo e di avere un morto in casa. A Los Angeles i servizi cimiteriali sono andati in tilt, c'erano troppi morti e non si sapeva più come gestirli. Ma, se dovesse servire, metteremmo la mascherina prima che ci venga imposta. Siamo più preparati».
Dal Covid in poi lei si è riavvicinata all'Italia? Ora resterà?
«Sì, resterò. Per lo meno in Europa. Diciamo che dalla pandemia ho fatto pace con gli italiani. All'inizio dell'emergenza si parlava delle cose che io studiavo da sempre, sapevo bene cosa sarebbe successo e dovevo dirlo. Però non ho fatto pace con un certo tipo di giornalismo ed i suoi legami con il sistema della giustizia».
Quando fu accusata di essere trafficante di virus, sua figlia era piccola.
«Aveva 10 anni. Siamo stati in ballo con un'accusa infondata, sono stata prosciolta perché il fatto non sussiste. Però mi hanno rubato la credibilità, la reputazione. Io che studiavo da sempre come prevenire le pandemie fui accusata di volerne creare una. Per questo sono andata all'estero».
E ora torna (anche) con uno spettacolo teatrale, «Le parole della salute circolare» alla Sapienza di Roma.
«Parto dalle parole di ieri: coraggio, determinazione, lungimiranza. E mi aggancio a quelle di oggi: acqua, aria, terra, fuoco e big data. E propongo il modo di ragionare di alcuni scienziati del passato, la loro tenacia, raccontando le loro storie in modo molto fluido, narrativo. Ad esempio Antonie van Leeweunhoek, commerciante di tessuti del 1700 che inventò il microscopio. Oppure Flaming che intuì il tema dell'antibiotico resistenza, con cui dobbiamo fare i conti oggi».
Teatro sì, ma social così e così?
«Anche ora che la pandemia è finita da un pezzo, lo zoccolo duro degli odiatori e dei troll è rimasto. È anche per quello che mi sono allontanata dai social».
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