Così è naufragata la svolta rosa promessa da Conte

Nell'organo che sancisce la definitiva svolta partitica del M5S, l'ex premier nomina Paola Taverna e Alessandra Todde, su cinque posti in totale. Restano fuori Appendino, Castelli e Azzolina

Così è naufragata la svolta rosa promessa da Conte
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La nuova segreteria del Movimento 5 Stelle a tinte rosa è un po' più azzurra del previsto. Dopo il delicato totonomi delle scorse settimane, il capo politico Giuseppe Conte ha sciolto le riserve e scelto quella che è sarà una sorta di gruppo dirigente del partito. Perché sì, è evidente che ormai il M5S sia un partito a tutti gli effetti.

Dal "girl power" promesso dall'ex premier è rimasta fuori una figura di peso, il sindaco uscente di Torino Chiara Appendino. Aveva detto: "Se ci saranno le condizioni non farò mancare il mio contributo". E invece è scesa giù dalla giostra, un po' perché autosospesa dal Movimento per via della condanna a un anno e mezzo per il caos di Piazza San Carlo, un po' perché non ha benefit da parlamentare (trasporti gratis Roma-Torino, soprattutto). Anche se la versione ufficiale sostenuta dalle fonti a lei vicine è che avrebbe scelto di dare precedenza alla sua maternità. Rimasta a bocca asciutta anche l’ex ministro della Scuola Lucia Azzolina, altro nome di peso e non proprio una contiana di ferro. E così come pure il viceministro dell'Economia Laura Castelli, specialmente perché dimaiana irriducibile.

I suoi vice alla fine sono Paola Taverna (vicepresidente del Senato) e Alessandra Todde (viceministra allo Sviluppo Economico) tra le donne, e Mario Turco (senatore pugliese), Riccardo Ricciardi (deputato fedelissimo) e Michele Gubitosa (onorevole-imprenditore).

Più uomini che donne, insomma.

La verità è che la svolta rosa promessa da Conte al momento rappresenta l'ultimo dei problemi dei pentastellati, reduci dalla batosta alle amministrative e dalla scomparsa dai municipi italiani, in preda a faide interne (appena un terzo dei parlamentiari sostiene apertamente Conte), traumatizzati dall'affaire Casaleggio, in difficoltà nel sostenere persino capisaldi storici come le rendicontazioni dei parlamentari (sono da tempo ferme al palo, e da statuto chi non è in regola non può ad incarichi relativi al gruppo.
La scelta di Conte, quindi, della quota di genere non ha tenuto proprio conto. È stata, piuttosto, una logica correntizia in piena regola. Come un partito primarepubblicano qualsiasi.

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