Fingeva di fare il volontario a Roma e di aver archiviato il passato da padrino in Sicilia. Ma il boss Giuseppe Guttadauro non ha mai smesso di essere punto di riferimento di Cosa nostra.
I carabinieri del Ros hanno arrestato a Palermo «il dottore», già primario dell'ospedale Civico, coinvolto in passato nell'inchiesta sulle talpe alla Dda in cui fu indagato l'ex presidente della Regione Totò Cuffaro. In manette è finito anche suo figlio Mario Carlo. L'inchiesta che ha svelato gli affari dell'anziano capomafia, coordinata dalla Dda di Palermo, nasce dalle indagini per la ricerca del boss Matteo Messina Denaro perché il fratello di Guttadauro, Filippo, è cognato del padrino ricercato.
L'ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal gip per lui e per il figlio Mario Carlo accusati di associazione di tipo mafioso. Ai due viene contestata l'appartenenza alla famiglia di Cosa nostra di Palermo-Roccella e l'intervento sulle più significative dinamiche del mandamento mafioso di Villabate-Bagheria. Nell'ambito della stessa inchiesta sono indagati altri soggetti palermitani, tre dei quali sono considerati affiliati alla famiglia di Palermo-Roccella e due, in concorso con Mario Carlo Guttadauro, di lesioni aggravate.
Dagli accertamenti sarebbe emerso che Guttadauro da Roma, dove si era trasferito dopo la scarcerazione avvenuta il 2 marzo del 2012, avrebbe mantenuto i contatti con l'organizzazione mafiosa di riferimento anche attraverso il figlio, che avrebbe fatto da trait d'union con gli altri indagati e dalla capitale continuava a seguire il traffico di droga. Nel corso dell'indagine è stato tra l'altro documentato l'intervento di Giuseppe Guttadauro per risolvere i contrasti che erano sorti a Palermo sull'esecuzione di lavori da realizzare in un'importante struttura industriale nella zona di Brancaccio. Delle nuove leve di Cosa nostra il padrino parlava con disprezzo «sono quattro banditelli da tre lire». «Ti devi
evolvere, hai capito? Il problema è rimanere con quella testa, ma l'evoluzione...», diceva al figlio, invitandolo a rispettare le regole di Cosa nostra pur stando al passo con la modernità.
A Roma gli inquirenti hanno scoperto che Guttadauro frequentava i «salotti buoni». Aveva cercato di risolvere un contenzioso tra una facoltosa romana, Beatrice Sciarra, moglie di un chirurgo docente alla Sapienza, e l'Unicredit. La donna vantava un credito di 16 milioni di euro con l'istituto di credito e in cambio avrebbe dato al boss un compenso del 5% della somma.
Dalle intercettazione il boss aveva fatto capire che in caso di esito infruttuoso avrebbe incaricato qualcuno di «dare
legnate» al soggetto che impediva la transazione, l'ex ministro Mario Baccini, convinto che assieme all'ex consigliere di Stato Eugenio Mole avrebbe potuto interferire nella questione pregiudicandone l'esito per la Sciarra.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.