Una risoluzione di condanna nei confronti dell'Uganda, dove un omosessuale rischia l'ergastolo o la pena di morte, è diventata il pretesto per accusare l'Italia di fomentare una non meglio precisata «retorica» contro la comunità Lgbt. Incredibile ma vero. Eppure succede al Parlamento Europeo. Questa la cronaca dei fatti. All'Eurocamera di Bruxelles viene presentato un documento che chiede all'Uganda di ritirare la legge che introduce pene draconiane per chi dichiarerà la propria omosessualità. Nel testo si precisa che qualora il presidente ugandese non ritirasse il disegno di legge sarebbero a rischio le relazioni tra il paese africano e l'Unione Europea. La risoluzione è approvata a larga maggioranza, con 416 sì, 62 no e 36 astensioni.
Ma non basta la stigmatizzazione della follia ugandese. I Verdi e la sinistra europea ne approfittano e infilano un emendamento in cui Italia, Polonia e Ungheria vengono citate come deprecabili esempi di Stati in cui vengono conculcati i diritti della comunità Lgbt. Giorgia Meloni come gli ayatollah iraniani. Il Parlamento europeo, si legge nel testo, «esprime preoccupazione per gli attuali movimenti retorici anti-diritti, antigender e anti-Lgbtiq a livello globale, alimentati da alcuni leader politici e religiosi in tutto il mondo, anche nell'Ue». E qui viene il bello, anzi il brutto. L'Europarlamento «ritiene che tali movimenti legittimano la retorica secondo cui le persone Lgbtiq sono un'ideologia anziché esseri umani; condanna fermamente la diffusione di tale retorica da parte di alcuni influenti leader politici e governi nell'Ue, come nel caso di Ungheria, Polonia e Italia». La menzione dell'Italia passa con 282 voti a favore, 235 contrari e 10 astenuti. La presa di posizione della sinistra spacca la maggioranza Ursula. Non essendo disponibili i tabulati della votazione, il Partito popolare europeo prende le distanze dall'emendamento. Fonti del gruppo Ppe fanno sapere che i popolari hanno dato l'indicazione a non votare il testo dei Verdi. «Si è trattato di un attacco al governo italiano», sottolineano dalla delegazione di Forza Italia.
Difficile definire altrimenti la macedonia in cui finiscono tutti insieme il dittatore dell'Uganda Yoweri Museveni, la Polonia conservatrice di Andrzej Duda e Mateusz Morawiecki, l'Ungheria di Viktor Orban e l'Italia del centrodestra a guida Meloni. Nessun fatto concreto, non una legge specifica. Ma è solo un vago accenno alla «retorica anti-Lgbt» che porta all'accostamento naif tra la premier italiana e Museweni, ex guerrigliero e presidente ugandese dal gennaio del 1986. L'eurodeputato di Fdi Nicola Procaccini bolla le sinistre europee come «vili e disoneste». Per gli europarlamentari della Lega Marco Campomenosi e Marco Zanni è «follia paragonare l'Italia a una autocrazia che impedisce le minime libertà democratiche come l'Uganda». «È indegno e indecente che la sinistra metta sullo stesso piano la nostra democrazia a sistemi autoritari e repressivi come l'Uganda», dice l'eurodeputata leghista Susanna Ceccardi. «Questa destra ci sta trascinando rovinosamente tra i Paesi più arretrati d'Europa», cavalca la notizia il deputato del Pd Alessandro Zan.
Nicola Fratoianni dell'Alleanza Verdi-Sinistra dice che è «incomprensibile» la reazione del centrodestra sul voto europeo. Fabio Massimo Castaldo, eletto a Bruxelles con il M5s, sostiene che l'Europa «ha finalmente messo alla sbarra» la politica di Meloni.
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